Disponibile su RaiPlay Febbre da cavallo, un film del 1976 diretto da Steno. Interpretato da Gigi Proietti ed Enrico Montesano, con Francesco De Rosa, Mario Carotenuto, Catherine Spaak, Gigi Ballista, Ennio Antonelli e Adolfo Celi, la sceneggiatura venne ideata da Massimo Patrizi con la collaborazione di Alfredo Giannetti e fu poi rimaneggiata in fase di pre-produzione. Considerato, con il passare degli anni, un film di culto della commedia italiana, ha consolidato le carriere di Proietti e Montesano; l’opera viene inoltre ricordata come un unicum per via della sua crescente popolarità a distanza di decenni dall’uscita nelle sale. Dopo avere ottenuto tiepidi incassi nelle sale all’epoca della sua uscita, i molteplici passaggi televisivi, in particolare sulle reti locali romane, lo hanno nel tempo rilanciato fino a farne un’opera cult per appassionati della commedia leggera all’italiana nonché per frequentatori più o meno assidui di sale scommesse e ippodromi, generando altresì gag e scene comiche rimaste nell’immaginario collettivo.
Trama
Bruno Fioretti detto “Mandrake”, indossatore morto di fame, Armando Pellicci detto “Er Pomata”, disoccupato, ricco solo di grandi risorse truffaldine, e Felice Roversi, parcheggiatore abusivo, sono tre amici alle prese col vizio delle scommesse ippiche. I tre trascorrono gran parte del loro tempo cercando di mettere insieme i soldi per scommettere.
Il progetto di Febbre da cavallo risale al 1971, quando Massimo Patrizi cominciò ad abbozzare il soggetto di un film drammatico e di denuncia che affrontasse il tema della dipendenza dal gioco. Presentò così la sua idea al regista e produttore cinematografico Roberto Infascelli, impegnato in quel periodo con la produzione de La polizia ringrazia, opera facente parte di un nutrito e influente filone di film poliziotteschi di denuncia da lui stesso inaugurato; a Infascelli piacque molto la storia, tanto da decidere che Febbre da cavallo sarebbe stata la pellicola che avrebbe prodotto successivamente cosicché, una volta messala in cantiere, ne propose la regia a Steno, da lui già ingaggiato per dirigere La polizia ringrazia, ma a questi la storia non piacque particolarmente e pertanto declinò l’offerta. Durante le riprese de La polizia ringrazia, poi, Infascelli insistette per fargli accettare la regia del film, ma Steno non volle cambiare idea, facendo incrinare i rapporti tra i due, tant’è che il film che realizzò subito dopo fu La polizia sta a guardare, un altro titolo della sua serie poliziottesca di denuncia (che diresse egli stesso tra l’altro), mettendo così da parte il progetto di Patrizi.
Dopo il successo de La polizia chiede aiuto, verso la fine del 1974 Infascelli non aveva idee in mente per qualche altro film e perciò decise di rispolverare il vecchio soggetto di Febbre da cavallo, modificandone però il timbro in uno maggiormente comico, convintosi com’era che una pellicola maggiormente incline allo stile di una classica commedia all’italiana avrebbe abbracciato una fetta di pubblico maggiore rispetto a un’opera drammatica e seria. Dopo che ebbe avuto modo di leggere la nuova stesura della sceneggiatura, ed essendone stavolta rimasto piacevolmente colpito, Steno si decise alla fine ad accettare l’offerta di Infascelli, il quale nel frattempo, tuttavia, ne aveva già affidato la regia a Nanni Loy. I due riuscirono però a trovare un compromesso attraverso uno scambio di progetti: Loy cedette Febbre da cavallo a Steno, il quale in cambio lasciò al collega la regia di Basta che non si sappia in giro, il film a cui stava lavorando. A proposito della pellicola, Steno disse: «Cerchiamo di fare un film in stile anni 1950, con tanti caratteristi, tante maschere, o magari un film di gruppo».
Durante i primi anni 1990, come accadeva per molte pellicole dei due decenni precedenti, il film cominciò a essere ritrasmesso da molte emittenti locali di Roma come T9 e Gold TV, spesso in collane celebrative della filmografia di Steno (scomparso nel 1988); a ognuno di questi passaggi il film aumentava sempre più l’ascolto: «Il segreto? Semplicemente il fatto che faceva ridere», chioserà Proietti. Ciò fece nascere anche una numerosa fanbase di cosiddetti “febbristi”, anche tra gli scommettitori, portando alla nascita di numerosi locali e all’uscita di altrettanti libri dedicati, soprattutto tra il popolo capitolino. Questo fece sì che il film venisse ritrasmesso anche dalle televisioni private nazionali, ottenendo anche in questo caso un buon successo. Questa sorta di resurrezione del film si concretizzerà definitivamente nel 2001 quando, oltre all’annunciato sequel diretto dai figli di Steno, il giornalista Alberto Pallotta pubblica un libro sul film dal titolo Febbre da cavallo, presentato all’isola del cinema di Roma, comprendente la sceneggiatura integrale del film, recensioni e statistiche dell’epoca, dietro le quinte e altro. Pallotta dice che: «È stato un film salva serate, specie per i giovani, che si sono spesso ritrovati per vederlo la sera». Enrico Vanzina, nella prefazione del libro, attribuisce al padre Steno gran parte della riuscita dell’opera, sottolineando la grande maestria nell’aver scelto gli interpreti ideali al ruolo affidatogli.
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