Già autore di diversi saggi dedicati a Stanley Kubrick, il critico Roberto Lasagna torna a esplorare l’universo filmico del celebre regista americano con un nuovo libro edito da Weird Book nella collana Revolution: Stanley Kubrick. Visioni e ossessioni.
A quasi venticinque anni dalla sua scomparsa, Kubrick non finisce di destare interesse. Come scrive Emanuele Rauco nella prefazione, la sua grandezza consiste nell’aver affermato la propria poetica attraverso le strutture e i codici ben riconoscibili dei generi cinematografici (noir, peplum, guerra, thriller, horror, fantascienza), rivolgendosi a un ampio pubblico, ma senza aver mai rinunciato alla sperimentazione e all’innovazione. Per la loro complessità, i film di Kubrick hanno sempre richiesto allo spettatore uno sguardo attento e ripetute visioni.
Dal lavoro di fotoreporter per la rivista «Look» – esperienza che ha avuto un peso importante sulla sua formazione di regista – agli esordi dietro la macchina da presa con il documentario Il giorno del combattimento (Day of the Fight, 1951), dal primo lungometraggio intitolato Paura e desiderio (Fear and Desire, 1953) all’ultimo film Eyes Wide Shut (1999), uscito postumo, Lasagna ci accompagna tra le “visioni” e le “ossessioni” su cui Kubrick ha basato la propria cifra stilistica in quasi cinquant’anni di carriera e tredici pellicole.
La notevole inventiva del regista si impose già con il film noir Il bacio dell’assassino (Killer’s Kiss, 1955), produzione indipendente a basso budget, dove per sopperire ai limiti produttivi Kubrick fece di necessità virtù introducendo soluzioni alternative come l’uso di telecamere portatili. Volendo continuare ad affrancarsi dal peso e dal condizionamento delle major hollywoodiane, fondò con James B. Harris la Harris – Kubrick Production con la quale realizzò tre film: il noir Rapina a mano armata (The Killing, 1956) – che rielaborava da dentro il genere poliziesco – , il capolavoro antimilitarista Orizzonti di gloria (Paths of Glory, 1957) fortemente censurato in Francia con protagonista la star Kirk Douglas (dalla collaborazione con l’attore ebbe origine anche il kolossal Spartacus, nel 1960, unico titolo su cui il regista non ha potuto avere un controllo artistico completo) e Lolita (1962), film scandalo tratto dal romanzo di Vladimir Nabokov con cui Kubrick rivendicava la propria totale libertà espressiva, storia di un amore “sognato, bramosamente desiderato, afferrato e poi smarrito”, passione proibitiva per una adolescente “conseguenza di un probabile amore perduto in tenera età dal protagonista”.
In Lolita emergeva già con chiarezza uno dei temi kubrickiani per eccellenza: il tema del Doppio, raffigurato dal camaleontico Clare Quilty di Peter Sellers. E due anni dopo l’attore inglese fu l’irresistibile protagonista di una satira sulla Guerra Fredda e sul pericolo nucleare: Il dottor Stranamore – Ovvero: come ho imparato a non preoccuparmi e ad amare la bomba (Dr. Strangelove or: How I Learned to Stop Worrying and Love the Bomb, 1964), “commedia da incubo” con la quale Kubrick metteva a nudo le pericolose contraddizioni del potere confermandosi ormai come uno “tra i cineasti più lucidi e personali del cinema americano del dopoguerra”, “regista dei grandi temi che arrovellano l’uomo al cospetto della modernità”.
Ogni successivo film firmato dal regista newyorchese ci appare come un nuovo “capitolo di un racconto che coglie il viaggio dell’uomo tra le macerie della cultura occidentale del Novecento” e per ognuno di essi Lasagna offre, con la competenza che contraddistingue il suo lavoro di critico e saggista, un’analisi esaustiva.
2001: Odissea nello spazio (2001: A Space Odyssey, 1968), film ambizioso, “esperienza sensoriale ed emotiva” (memorabile l’immagine dell’osso, lanciato dalla scimmia vittoriosa, che volteggia al rallentatore in cielo).
Arancia meccanica (A Clockwork Orange, 1971), film accusato ingiustamente di fascismo: saggio allarmante sulla “cultura della violenza”, una violenza esasperata, figlia dell’incuria familiare e istituzionale, della repressione e del condizionamento.
Barry Lyndon (1975), ascesa e caduta dell’avventuriero irlandese Redmond Berry, ricco affresco settecentesco pieno di riferimenti pittorici e filosofici che forniscono una visione ironica delle contraddizioni del Secolo dei Lumi.
Shining (The Shining, 1980), libero adattamento del romanzo di Stephen King, saggio di formalismo che vede l’impiego ottimale della steady-cam, grande prova d’attore di Jack Nicholson capace di rendere “con straordinario fascino l’irrompere della follia” nella mente di un uomo psicotico, ma anche prova convincente della coprotagonista Shelley Duvall che in ogni sua giornata sul set – ricordava lei stessa nelle interviste – doveva piangere per ben dodici ore sottoponendosi a uno sforzo che la mise a dura prova costringendola ad andare in terapia.
Full Metal Jacket (1987), film di guerra atipico, “film lucidissimo sulla centralità della violenza nella società e nella Storia”.
E infine Eyes Wide Shut (1999), trasposizione del racconto di Arthur Schnitzler Doppio sogno, film summa e testamento artistico, il primo film di Kubrick “che analizza approfonditamente la sessualità all’interno di una coppia”.
Stanley Kubrick. Visioni e ossessioni di Roberto Lasagna è l’entusiasmante (forse definitivo?) percorso critico nella filmografia di uno dei cineasti più geniali di sempre, un regista che come si evince dalle pagine del libro ha saputo coniugare la politica dei generi cinematografici con una politica d’autore, dimostrando come l’artisticità e la libertà creativa incondizionata non precludano un dialogo con il grande pubblico.
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