Disponibile su YouTube La parmigiana, un film del 1963 diretto da Antonio Pietrangeli, tratto dal romanzo omonimo di Bruna Piatti (1910-1979). Prodotto da Gianni Hecht Lucari, con la sceneggiatura di Ruggero Maccari, Ettore Scola, Stefano Strucchi, Antonio Pietrangeli, la fotografia di Armando Nannuzzi, il montaggio di Eraldo Da Roma, le scenografie di Luigi Scaccianoce e le musiche di Piero Piccioni, La parmigiana è interpretato da Catherine Spaak, Nino Manfredi, Didi Perego, Vanni De Maigret, Salvo Randone, Lando Buzzanca, Umberto D’Orsi.
Trama
Dora, che abita in una canonica con lo zio prete, seduce un seminarista in vacanza, e poi fugge con lui a Riccione. Presto abbandonata e senza denaro, per pagare il conto non rifiuta di soddisfare la lussuria dell’albergatore; poi si riduce a vivere con Nino, uno sprovveduto giovanotto che spera di procurarsi fama e ricchezza con la pubblicità, e lo segue a Roma. Allorché Nino è arrestato per truffa, Dora si reca a Parma presso una coppia di amici: qui non cede alle richieste dell’uomo, ormai anziano, e si rassegna a fidanzarsi con un questurino, focoso e ridicolo. Si stanca di lui, lo pianta in asso e ritorna da Nino. Questi nel frattempo si è messo con una donna matura, che gli dà lavoro. Dopo un patetico addio, a Dora rimane che il marciapiede.
“Ritratto di ragazza sullo sfondo della provincia italiana, ben salda nel suo benessere e nella sua mediocrità morale. Dora ha il broncio della fulgida Catherine Spaak di questi anni, un’indifferenza di stile moraviano e un’audacia malinconica che la spinge a disfarsi tanto d’un fidanzato banale quanto d’un amante opportunista. Affronterà gli anni Sessanta sola e si presume sessualmente libera. Pietrangeli ha raccontato come pochi altri l’Italia del boom attraverso le sue donne, i loro smarrimenti, i loro desideri, la loro labile e spesso sconfitta ricerca della felicità”.
(Emilia Romagna Cultura)
“Il romanzo è esile al punto che l’opera cinematografica appare assai superiore a quella letteraria. Il film è amaro nella conclusione così come è ricco di ironia e di spigliatezza negli antecedenti: il racconto è in tono distaccato, il regista non giudica e non assume atteggiamenti moraleggianti tuttavia (il film) raggiunge ugualmente i fini etici che evidentemente si proponeva: e il senso di sgomento di Dora, quando si accorge del triste bilancio della sua vita, è descritto con felice sensibilità . Alcuni personaggi, assai più della protagonista (la meno parmigiana della compagnia) appaiono scolpiti con autentica vena. Il più umano di tutti, comunque, è Salvo Randone (che) si è dimostrato ancora una volta eccellente attore cinematografico”.
(A. Solmi, Oggi, 10, 7/3/1963).
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