Hirayama è un signore silenzioso, le cui giornate scorrono tutte uguali. È così sin dai primi attimi del risveglio, quando si dedica alla pulizia personale e dà avvio a una successione di gesti sempre svolti con meticolosa cura e precisione. La stessa che porta con sé guidando il van con cui si reca sui luoghi del lavoro, i bagni pubblici di cui si prende meticolosamente cura essendo egli addetto alle pulizie dei servizi igienici di Tokio.
Wim Wenders, al ventiquattresimo lungometraggio, realizza con Perfect Days un omaggio alla quotidianità di un uomo la cui serenità diventa presto contagiosa per lo spettatore che la scopre nei primi quaranta minuti del film, dove è possibile prendere confidenza con un modo differente di sentire la vita. L’esistenza è colta nel suo fluire ordinario, e Hirayama coltiva l’essenziale, raccoglie piantine che la società trascura e le coltiva nel suo appartamento con la dedizione che è propria del suo carattere. Nonostante appaia taciturno, l’uomo sa ascoltare la musica (le audiocassette anni Settanta come playlist di una sensibilità vintage che si consola al riverbero delle note di Patti Smith, Lou Reed, Van Morrison), sa osservare e ammira il cielo all’alba o la luce tra il fogliame, legge tutte le sere un libro prima di addormentarsi al chiarore debole di una lampata e poi, il giorno seguente, ricomincia con un copione che si ripete apparentemente senza variazioni. Ma in verità ogni giorno presenta qualche aspetto nuovo, ed è perfetto nella sua singolarità, nella sua potenziale apertura alla vita.
Wim Wenders, regista e sceneggiatore del film (con Takuma Takasaki), prende avvio da una serie di documentari brevi chiamati a testimoniare la riqualificazione di diciassette bagni pubblici realizzati da famosi architetti giapponesi per dare forma a un racconto che conferma la grande confidenza dell’autore con il documentario: le immagini della vita sembrano infatti come colte da una macchina da presa nascosta che non altera il placido fluire dove la dignità quotidiana del personaggio è affiancata dagli incontri: quello con Takashi, un ragazzo che accompagna Hirayama nel turno pomeridiano, quelli con una ragazza al parco, con un senzatetto, con Mama, la proprietaria di un ristorante che riserva attenzioni delicate e propone ogni volta la sua insalata di patate. Accanto alla quotidianità osservata nelle sue reiterazioni, il film espone poi anche i sogni di Hirayama che somigliano a una pausa dal reale in quanto elaborazione intima e artistica della giornata appena trascorsa. Quei sogni baluginanti sono come il sudario di una quotidianità che viviamo attraverso lo sguardo e le emozioni dell’interprete Koji Yakusho (premiato a Cannes), la cui presenza silenziosa ci porta a placare l’affanno e rallentare la corsa, inducendo a scoprire qualcosa di più sul suo passato. E percepiamo che persino lui, metodico e apparentemente sereno, è portatore di un segreto disagio, che la sua condotta quotidiana auto-cura ricercando la pace, lasciandosi alle spalle il disorientamento e il torpore che segnavano il protagonista di Paris, Texas, e pervenendo in Perfet Days al sostenuto sguardo in camera del finale colmo di sentimenti che riemergono.
Il nuovo film di Wenders è una ritrovata lezione di misura e una collaborazione importante tra il regista e l’interprete: grazie a Hirayama impariamo a prendere confidenza con una vita così lontana ma così vicina, respirando e ammirando la sua taciturna dedizione alla vita, alle percezioni che lo vedono sentire l’acqua rilassante di una vasca sul corpo dopo una giornata di duro lavoro e assaporare di nuova l’insalata al ristorante. Attraverso i silenzi e le ripetizioni, i gesti e le abitudini, prendiamo confidenza con la profondità emotiva di un sessantenne che apprezza William Faulkner e Patricia Highsmith ma anche la “sottovalutata” Aya Koda, ed è quindi un testimone prezioso di un’intimità di sguardo, che invita lo spettatore al “qui ed ora” di una leggerezza che è profondità, così magicamente espressa dall’ingresso della nipote, la giovane Niko che si stabilisce qualche giorno dallo zio dopo una litigata con la madre. Questo avvicinamento crea momenti di elevatezza e nuove sfumature nel tessuto emotivo del racconto, inducendo a voler conoscere di più del personaggio e del segreto che scorgiamo dietro alla sua apparente serenità. Wenders fa sottolineare attraverso la voce della ragazzina che “adesso è adesso”, cadenzando come una cantilena semi-allegra l’intonazione a cogliere l’attimo e a vivere il presente valorizzando gli incontri e la magia delle piccole cose.
L’immersione nella quotidianità di Hirayama è dunque servita a portarci dentro l’universo di abitudini di una persona che un film può lasciar affiorare con rispettosa e intima prossimità, alimentando il sentimento-bisogno di comprensione per una persona i cui rapporti con la sorella scopriamo essere difficili mentre lo sono molto quelli con il padre. Perfect Days possiede la trama dolce di una solitaria routine che ci parla, ci comunica il sentimento di una luce che irradia dolcezza conducendoci a rallentare la corsa attraverso il risveglio del sapore evocato da quei riflessi tra le foglie degli alberi che significano vita ritrovata, nuova percezione. Wenders ci conduce lungo l’emersione di sentimenti affioranti nel loro contrastante manifestarsi grazie a un finale che si sviluppa sulle note di “I am feeling good”, laddove lo sguardo del cineasta non cerca spiegazioni ma lascia libero lo spettatore di immaginare e proiettare i motivi che il film ha sollecitato in lui. Perché anche attraverso un film ogni giorno è un nuovo giorno di scoperta e consapevolezza.
Data di uscita: 4 gennaio 2024 (Italia)
Regista: Wim Wenders
Candidature: Premio al miglior attore, MORE
Casa di produzione: Master Mind
Costumi: Daisuke Iga
Distribuzione in italiano: Lucky Red
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