Antonio (Antonio Albanese) è un operaio specializzato in prepensionamento che, per guadagnare ancora qualcosa, anche in vista del matrimonio della figlia (Liliana Bottone) continua a prestare la propria opera nel cantiere nautico di Carlo, che con lui si mostra benevolo, ma che lo manda via dopo una visita degli Ispettori del Lavoro. Antonio è un brav’uomo, divorziato, ha una relazione che vorrebbe ufficializzare – desiderio non reciproco – con una donna sposata, e conduce una vita semplice, prendendosi cura dell’anziana madre e sognando il momento in cui accompagnerà l’unica e adorata figlia all’altare.
Quando finalmente arriva il momento, Antonio, felice ed emozionato, cerca di organizzare il matrimonio nel modo migliore, sobbarcandosi la maggior parte delle spese. Si reca quindi presso la propria banca per ritirare parte dei risparmi di una vita. Il nuovo direttore della filiale, il dottor Girardi, lo convince invece a mantenere il suo capitale investito in azioni e a farsi erogare dalla banca un prestito, che sarà ripagato con le rendite delle azioni. L’uomo fiduciosamente firma i documenti, non sapendo, come invece sanno già silenziosamente in molti, che la banca è in fallimento.
Cento domeniche è il tempo che in media un operaio della provincia italiana degli anni Sessanta impiegava per costruire la propria casa, attività a cui poteva dedicarsi solamente nel fine settimana, quando non lavorava in fabbrica.
Antonio Albanese è bravo, bravo come interprete – candidato al David di Donatello – e molto bravo a raccontare una storia. Soggetto e sceneggiatura sono scritti a quattro mani dallo stesso insieme a Piero Guerrera. La storia dell’operario Antonio scorre asciutta e commovente, senza tanti fronzoli, seguendo l’esempio dei maestri del free cinema inglese, seguendo le tematiche sociali e lo stile essenziale del maestro Ken Loach.
E’ talmente sincera la passione che il regista mette in questo film che lo ambienta nella provincia di Lecco, suo paese di origine, e il cantiere nautico mostrato nel film è lo stesso in cui ha lavorato prima di intraprendere la carriera di attore.
C’è una drammaticità misteriosa e dolente, che resta venata di umorismo, ma che per questo appare ancora più autentica e intensa, negli artisti che sono passati dalla comicità al dramma. Lo abbiamo visto nell’americano Adam Sandler (Diamanti Grezzi) e la possiamo vedere nell’interpretazione di Antonio Albanese, qui in uno dei ruoli migliori della sua decennale carriera.
La storia di quest’uomo pieno di dignità ed amore per la vita, che viene fiaccato e stravolto dall’inganno – la donna che ama lo rinnega davanti alla verità e al bisogno, la Banca e le persone di cui si fidava gli sottraggono ogni suo risparmio – è una bell’esempio di come si possa fare un ottimo cinema con un relativamente modesto impiego di mezzi e degli interpreti mai sopra le righe. Cento domeniche è un film perbene esattamente come il suo protagonista, e come il regista che non ha bisogno di motivazioni esterne o di tendenza per portare avanti la sua urgenza interiore ed ispirata di raccontare una storia vera.
L’epilogo è l’unico possibile ed è inevitabile, coerentemente con la forza morale e la disperazione del personaggio, che esplode in una rabbia cieca, ma che ai nostri occhi non può che risultare giusta. La diga è rotta, e a nulla servono le dimostrazioni di affetto maldestre degli amici o autentiche, anche da parte dell’ex moglie (Sandra Ceccarelli). Quello che è stato sottratto ad Antonio non è solo il denaro, ma sua dignità e come un eroe della tragedia greca egli non può porvi riparo se non col proprio sacrificio.
Cento domeniche è un film drammatico, ma al contempo lieve, che si snoda silenzioso e inarrestabile come un corso d’acqua.
L’unico fardello che lo appesantisce forse, è l’occasionale incursione di immagini oniriche, ridondanti, che mal si accordano con l’asciutta e realistica narrazione del film.
D’altra parte, sognare, quando si è operai e non si gode di alcun privilegio, è un vezzo che si paga.
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