Ispettore Callaghan: il caso scorpio è tuo! (Dirty Harry, 1971) ci trascina tra i bagliori al neon e le strade di San Francisco, citta’ statunitense di enorme suggestione in cui Clint Eastwood, per la prima volta nei panni dell’ispettore in rotta con il sistema, si ritrova a trasporre nel contesto metropolitano sobillato dalla violenza un pistolero western: un’intesa che il regista Don Siegel aveva già sperimentato assieme all’attore ne L’uomo dalla cravatta di cuoio, mentre adesso i due si ritrovano a lavorare nuovamente insieme in uno dei titoli più significativi e memorabili del cinema poliziesco americano.
Eastwood, il cui Callaghan è un trattato di autoironia, è affiancato dalla scrittura (non accreditata) di John Milius, e dalla regia robusta di Siegel, splendidamente a suo agio nell’esplorare il conflitto tra l’individuo e la società, considerando che attraverso il suo protagonista, individualista e non allineato, non è così azzardato (come fu notato) cogliere il parallelismo con la condizione del cineasta orgogliosamente tutore della propria indipendenza all’interno dell’industria cinematografica.
L’incontro tra Eastwood e Siegel avrebbe lasciato il segno in entrambe le carriere, con film in grado di indagare piste innovative per l’attore reduce dal successo dei western di Sergio Leone, e che a fianco di Siegel si ritrova a compiere nuovi travestimenti, affrontando il collegio femminile che diviene luogo del desiderio del soldato ferito ne Gli avvoltoi hanno fame (Two mules for sister Sara, 1970), ma anche la San Francisco del primo film della serie Callaghan, in cui è dato cogliere le falle di quel sistema che sciorina gli ideali virtuosi di Law and Order e dove l’ispettore con la 44 Magnum si trova puntualmente solo, in missioni in cui è lasciato con brutte “gatte da pelare”. Sin da Ispettore Callaghan: il caso scorpio è tuo! i modi del personaggio sono irriverenti, provocatori, e il film si fa strada in un momento cruciale del rapporto tra la violenza sullo schermo e la sua percezione da parte del pubblico.
l ritmo teso, le inquadrature aeree, le pagine avvolgenti e sapientemente cadenzate della regia di Siegel, predispongono un’esperienza cinematografica di grande coinvolgimento, per sviluppare, attraverso le iniziative del protagonista, una traiettoria di disillusioni e grande trepidazione, fatta di mosse spiazzanti da parte del maniaco Scorpio, un invasato che, pur scagliandosi sempre crudelmente contro gli indifesi, si ritrova a un certo punto scagionato dalla polizia, con l’ispettore Callaghan a finire additato quasi come fosse lui il più discutibile in campo.
Il film di Siegel è un poliziesco proverbiale, in cui emerge un anti-eroe nichilista, contrastato dalla burocrazia, sdegnato e risentito, provocatorio nei modi e nella volontà di riscattarsi da un grave torto subito facendo giustizia da solo. “Harry la carogna” ha perso la moglie in questa sporca guerra urbana e i suoi modi non ortodossi divengono oggetto di puerile imbarazzo per i suoi superiori, che non lesinano prediche all’ispettore il quale, in onore alla recitazione ironica e sottile di Eastwood, reagisce con toni spiazzanti prima ancora che prezzanti: “quando un uomo nudo rincorre una donna in un vicolo con un coltello in mano e con l’affare di fuori…. non credo voglia raccogliere fondi per la croce rossa”.
La regia è abilissima, e la contrapposizione tra i due personaggi principali – l’ispettore deluso da chi lo circonda e il killer psicopatico che si scaglia contro vittime scelte a caso – tiene come una corda tesa, e modulata con ritmi intriganti, questo thriller che rilancia Eastwood ed è apprezzato fortemente per il suo smalto pur andando incontro a molte critiche, soprattutto in ragione del fatto che Callaghan viene etichettato come un “fascista”. Harry la carogna più che un fascista è un individuo il quale non accetta che le regole diventino un pericolo e la sua intransigenza è la conseguenza di un poliziotto che conserva nel suo sguardo sdegnato una fredda ma inquieta diffidenza verso chi si piega a logiche come quelle del sindaco pronto a trattare con il maniaco.
Con la sua tagliente autoironia, il suo orgoglio nichilista, la carogna Harry non è poi così carogna, non è affatto razzista come lo si volle etichettare, è invece un antieroe disilluso che riassume l’intesa tra il cineasta e l’interprete, espressa anche sotto forma di affettuoso riferimento al coevo passaggio di Eastwood dietro la macchina da presa (mentre Callaghan cammina sullo sfondo si scorge l’insegna di una sala cinematografica in cui si proietta Brivido nella notte).
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