Ken Loach, inglese classe 1936 (nato a Nuneaton, contea del Warwickshire), è uno di quei cineasti ricordati e celebrati non tanto per le specificità nell’utilizzo della macchina da presa o per il gusto estetico, quanto piuttosto per l’attivismo politico di sinistra e il rigore etico delle opere realizzate. Il longevo regista britannico, infatti, ha saputo descrivere alla perfezione le contraddizioni non solo della società britannica degli ultimi decenni, ma di tutto il capitalismo occidentale e gli effetti sulla classe lavoratrice e sugli emarginati.
Molto è già stato scritto su Loach ed ora un nuovo, utilissimo volume è venuto ad inserirsi nel dibattito critico: Ken Loach. Il cinema come lotta e testimonianza, edito da Falsopiano e scritto a quattro mani da Giorgio Barberis e Roberto Lasagna. Preceduto da un saggio introduttivo sulle trasformazioni sociali e la crisi odierna della politica e accompagnato da una postfazione che mette a confronto Loach con altri registi europei che hanno affrontato temi similari, il libro pone in evidenza già nel titolo il carattere politicizzante della sua filmografia. La crisi dell’illusione neoliberale è il contesto entro cui si muove parte significativa dell’opera di Ken Loach e i suoi film ci vengono descritti come una analisi critica della realtà “funzionale alla volontà” di rivoluzionare quella stessa realtà, come arte militante che “non si limita a descrivere i sistemi di potere e le loro storture” ma chiama alla lotta attiva. Una potente voce fuori dal coro, dunque, quella di Loach, sempre in difesa degli ultimi.
La sensibilità di Loach e la sua vicinanza alle tematiche del lavoro, della povertà, dell’emarginazione, sono evidenti già nell’esperienza televisiva degli anni Sessanta: tre episodi della serie Diary of a Young Man (1964), con protagonista un’umanità outsider per le strade di una Londra sempre più proiettata verso gli Swinging Years; Up the Junction (1965), con tre giovani operaie del quartiere di Battersea alle prese con stravolgimenti socio-economici tali da comprometterne la sussistenza; Cathy Come Home (1966), storia tragica della discesa nella povertà di una famiglia inglese.
Dall’esordio sul grande schermo con Poor Cow (1967) ad oggi, alla veneranda età di quasi ottantotto anni, Loach ha dato (e continua a dare) vita a un “cinema dell’urgenza e della consapevolezza i cui toni drammatici sono un monito a non sottovalutare i soprusi del sistema sociale” (ma anche le aberranti storture dell’ambiente familiare) donandoci una galleria significativa di personaggi ai margini: il giovane Billy di Kes (1969), ragazzino della provincia proletaria inglese, vessato a scuola e in famiglia; lo spaccato piccolo borghese di Family Life (1971), con la giovane Janice vittima di un ottuso conformismo; l’attivismo operaio britannico degli anni Venti nella miniserie Days of Hope (1975); la gioventù proletaria in dissolvimento di Uno sguardo, un sorriso (Looks and Smiles, 1981), atto d’accusa contro la politica di Margaret Thatcher, fautrice di “quel capitalismo che per i lavoratori è fonte di disgregazione”; e ancora, i mondi crudamente precari e asfittici della Manchester di Piovono pietre (Raining Stones, 1993), della periferia londinese di Ladybird Ladybird (1994), della Glasgow di My Name Is Joe (1998).
Ma l’interesse di Loach non si è concentrato solo ed esclusivamente sui diritti dei lavoratori e del sottoproletario degli ultimi ultimi decenni. Nella loro accurata disamina, Barberis e Lasagna si soffermano anche sul rapporto del regista con la Storia: la guerra di Spagna nel film Terra e libertà (Land and Freedom, 1995), la guerra d’indipendenza irlandese in Il vento che accarezza l’erba (The Wind That Shakes the Barley, 2006). Anche con lo sguardo volto al passato, il cinema di Loach conferma in ogni caso la sua vocazione militante e l’estraneità alle logiche riduttive delle grandi produzioni commerciali.
Pubblicato a distanza di breve tempo dall’uscita del suo ultimo film, The Old Oak (2023) – storia ambientata ai giorni nostri in un’ex località mineraria dell’Inghilterra del nord, il libro di Falsopiano Ken Loach. Il cinema come lotta e testimonianza ripercorre l’intensa carriera di un regista considerato “riferimento imprescindibile del pensiero critico contemporaneo”. La costante vicinanza di Loach alle ragioni dei più deboli e il suo invito a non arrendersi, mai, fanno della sua opera un esempio di “straordinaria coerenza e radicalità, che abbraccia tutte le lotte sociali e le ragioni di chi si batte per un mondo più giusto, più libero e più equo”. Oggigiorno, in tempi di precarietà diffusa e cinica indifferenza, c’è ancora tanto bisogno di una voce fuori dal coro come quella di Ken Loach… e il libro di Giorgio Barberis e Roberto Lasagna lo dimostra ampiamente.
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