Da quando il parlare di sesso e portarlo (in maniera più o meno esplicita) al cinema non è più stato un tabù, decine di registi hanno affrontato l’argomento dando una propria e personale visione, chi in chiave grottesca, chi seguendo una precisa poetica, chi per il puro gusto di scandalizzare e far parlare di sé.
L’approccio filmico a quella che è la componente sessuale e carnale in un film, è diventato nel corso degli anni sempre più realistico, quasi a voler veicolare la rivoluzione dei costumi di una società che non vuole più tenere nascosta la fondamentale importanza della sessualità/fisicità in un rapporto tra individui, ma che anzi usa lo strumento cinematografico per analizzare e approfondire un universo cosi sfaccettato come quello delle relazioni umane.
In linea con le celebri e discusse provocazioni cui Lars Von Trier ci ha abituato, e grazie anche ad una geniale (e martellante) campagna marketing, Nymphomaniac – Volume 1 è riuscito ad attirare su di sé un’incredibile attenzione mediatica, facendo crescere in maniera spasmodica nel mondo l’attesa per quello che doveva essere uno dei film più scandalosi degli ultimi anni. Ma è davvero cosi? Cosa c’è di realmente scandaloso nell’ultimo lavoro del regista danese?
Al di là della trama, che racconta in una serie di flashback le vicende sessuali di Joe dall’infanzia fino all’età di 50 anni, ciò che ha destato maggior scalpore (e quindi attenzione) è stato il fatto che il film è stato girato in due versioni, una più soft, adattata alla visione nei cinema di tutto il mondo, e una versione non censurata in cui Von Trier grazie anche all’utilizzo di controfigure ha girato scene di sesso quanto mai esplicite con tanto di penetrazioni, primi piani su genitali maschili e femminili, masturbazioni e sesso orale.
Difficile dire se la scelta di Von Trier della doppia versione sia stata dettata da reali esigenze artistiche o pura velleità provocatoria, ma è innegabile che almeno dal punto di vista mediatico sia una trovata fantastica.
Nymphomaniac – Volume 1, terzo capitolo della cosiddetta “trilogia della depressione” (dopo Antichrist e Melancholia), si apre subito con quello che sarà il filo logico di tutto il film, ovvero il dialogo (quasi una seduta psicanalitica) Joe e Seligman, ovvero la donna e l’uomo, l’istinto e la razionalità.
Quello tra i due (veri) protagonisti del film è un incontro-scontro, una sorta di seduta psicanalitica che in un potpourri abbastanza schizofrenico contiene citazioni filosofiche, rimandi letterari, metafore geometrico-musicali che fungono da brevi intermezzi, divagazioni, da quello che è il fulcro pulsante del film, ovvero il racconto della vita da “ninfomane” di Joe.
Nonostante il titolo e una trama che può prestarsi a facili fraintendimenti, Nymphomaniac è tutto tranne che un film pornografico, risultando invece, il racconto della scoperta della sessualità di una donna e della presa di coscienza della potenza del proprio corpo, e a tal proposito è emblematica la scena in cui Joe decide di “scartare” telefonicamente come fossero oggetti inutili i vari uomini con cui era stata a letto, dicendogli semplicemente di essere colpevoli di non averle fatto raggiungere l’orgasmo.
Ciò che Nymphomaniac rappresenta nella carriera di Lars Von Trier per alcuni versi è un ulteriore passo in avanti nell’intricata e controversa analisi della donna e dell’universo femminile, che il regista danese ha intrapreso nel 1996 con “Le onde del destino” (o già nel 1988 con Medea) e che gli ha procurato non poche critiche, oltre all’etichetta di misogino e maschilista; le “prime” donne (in senso cronologico) vontrieriane erano per lo più apatiche, ingenue, subivano passivamente le varie disgrazie che gli capitavano senza reagire, senza mostrare un minimo di personalità, abbandonandosi quasi in maniera mistica agli uomini e alle donne che abusavano fisicamente e psicologicamente di loro.
Dal finale di Dogville in poi, le varie protagoniste di Von Trier sembrano assumere via via maggiore consapevolezza del proprio essere e dell’universo che le circonda, anche se in ottica pessimistica, catartica, come Charlotte Gainsbourg in Antichrist ma soprattutto Kirsten Dunst in Melancholia.
Joe incarna nella sua insicurezza e insoddisfazione fisico-psichica, il sentimento onnipresente nella cinematografia di Lars Von Trier: il male di vivere. Come il Brandon di “Shame”, la Joe di Nymphomaniac sfrutterà il sesso per sfuggire al dolore (morte del padre), ad un’esistenza ordinaria e vuota, alla ricerca di un qualcosa di non ben identificato che forse potrà essere raggiunto, ma soltanto danneggiando e abbandonando le persone che si ha intorno.
A tal proposito fondamentale è la figura di Jerome, emblema dell’universo maschile, che all’inizio sembra essere il maschio dominante, il capo a cui Joe concede tutta sé stessa, ma che dopo un breve periodo di innamoramento (“unico periodo felice” dice mentendo inconsciamente Joe nel film) e un figlio verrà tradito e abbandonato.
Quello che deve essere chiaro dopo la visione di Nymphomaniac è che nonostante la natura esplicita di alcune immagini e situazioni, la pellicola del regista danese non va intesa, contrariamente a ciò che molti superficiali detrattori sostengono, come una lode alla depravazione e al sesso compulsivo, ma come una ricerca disperata di ordine e serenità all’interno di un mondo dove “Il caos regna”.
Scheda film
Titolo: Nymphomaniac Vol. I
Regia: Lars von Trier
Cast: Charlotte Gainsbourg, Stellan Skarsgård, Stacy Martin, Shia LaBeouf, Christian Slater, Jamie Bell, Uma Thurman, Willem Dafoe, Jens Albinus, Connie Nielsen
Genere: Drammatico
Durata: 110′
Produzione: Zentropa Entertainments, Heimatfilm
Distribuzione: Good Films
Nazione: Danimarca
Uscita: 03/04/2014
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