Richard Gere è stata la star indiscussa del martedì giffonese, atteso de centinaia di fan ed entusiasta di aver partecipato al Festival del cinema. Arrivato alle 17:00 sul Blue Carpet del Village, l’attore si è recato subito dopo in Sala Truffaut, dove ha tenuto un dibattito con i piccoli giurati del Festival.
Gere ha parlato a ruota libera dei suoi quasi quarant’anni di carriera, del modo in cui è cambiata l’industria cinematografica da quando ha iniziato a fare l’attore: “Quando ho cominciato a fare film, a metà anni ’70, ed erano quelli prodotti da grandi studios come la Paramount, ci mettevamo quaranta giorni a girarli. Oggi è cambiato il modo di produrre un film, i grandi studios tendono a produrre della pellicole che arrivano a un pubblico più trasversale, come i film d’azione, e in circa venti giorni si riescono a girare film di ottima fattura. Devi creare quanto più puoi e fare le migliori scelte possibili. All’inizio sei un attore e cerchi di scegliere ruoli sempre più interessanti, ma poi diventi anche famoso e la gente comincia a farti tante domande. È importante, però, riascoltare le risposte date. Con il tempo cominci anche ad assumerti la responsabilità di ciò che dici, quindi inizi anche a prepararti. È attraverso questo tipo di domande che ci vengono poste che noi possiamo dare un senso a tutto quello che facciamo, ad ogni nostro respiro, per mettere in circolo il nostro senso di responsabilità nei confronti del genere umano”.
Tra le tante domande poste a Gere c’è stata quella riguardante i suoi esordi, sul perché abbandonò il college per concentrarsi solo sulla recitazione, a cui ha risposto: “Non ero un grandissimo studente, ma durante il college sentivo la voglia di fare qualcosa di concreto ed ero coinvolto in alcune attività teatrali, così ho iniziato a fare delle audizioni a Boston e sono stato preso. Un po’ alla volta è diventato un lavoro e non ho più smesso. Ciò che amo maggiormente della recitazione è che tutto quello che mi è capitato di fare nella vita: cantare, ballare, dipingere, suonare viene immagazzinato anche nella recitazione e l’attore diventa così una sorta di spugna, che assorbe tutte le esperienze fatte nella vita quotidiana”.
Continuando a rivelare dettagli interessanti dei suoi trascorsi, Gere parla del modo in cui affonta ruoli drammatici e comici: “All’inizio della carriera credevo di essere più portato per il dramma, ma poi durante la lavorazione di Pretty Woman, il regista Garry Marshall mi disse ‘Sii più naturale’, perché aveva visto che non riuscivo a sciogliermi durante le scene, e poi così feci. In effetti non è tanto l’approccio dell’attore che cambia da un ruolo drammatico ad uno comico, ma il materiale con cui ci si trova ad avere a che fare. Oggi molte produzioni vi sembreranno affrettate e superficiali forse, ed è proprio perché manca una certa naturalezza nella lavorazione dei film attuali”.
Al termine del dibattito, Gere ha ricevuto il Premio Truffaut, alzato al cielo prima davanti ai piccoli giurati e poi, una volta tornato sul Blue Carpet, davanti alla sua schiera di fan che da tanti anni lo supporta e che lo ama, sia per i suoi indiscussi valori artistici che per quelli umani. Sessantaquattro anni e non sentirli: l’attore americano ha fatto vivere al Giffoni Film Festival alcuni dei momenti più belli di questa 44° edizione.
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