Disgelo è il primo singolo estratto dal nuovo album di Max Manfredi. Si intitola “Dremong”, brani nuovi e altri antichi che vedranno la luce con una veste volutamente “vintage”. “Dremong” l’orso tibetano totem dell’album è un inquieto ed inquietante essere dal carattere – tradizionalmente – malvagio e che tende spesso ad alzarsi sulle zampe in posizione eretta, simile agli Umani, tanto da aver dato origine, secondo alcuni, alla leggenda dello Yeti, l’Abominevole Uomo delle Nevi. Un orso imprendibile che abita le altitudini e le solitudini himalayane, e ogni tanto si mostra al consesso umano… Un album, questo “Dremong“, dove l’inquietudine è musa ispiratrice per quattordici canzoni senza tempo. I suoni delle tastiere vintage si sposano con quelli della chitarra classica, della chitarra elettrica, di strumenti tradizionali come il glockenspiel, la concertina, gli orientali gu-qin e go-zen, i flauti, il violino, la batteria, le percussioni e il basso fretless.
“Dremong” è un disco trasversale: progressive solo nei timbri, nostalgico della world music europea, affamato di accenni rock. In sostanza, è un album fatto da musicisti, con canzoni originali e inconfondibili, realizzate con passione artigianale senza imposizione di confini. Se infine di stile bisogna parlare, ecco lo stile “Dremong“!
Il progetto Dremong è stato realizzato con il sistema del crowdfunding, avviato e concluso su MusicRaiser, con la partecipazione di 201 raisers.
Trasversale, imprendibile sotto un’etichetta, vagabondo dalla musica al teatro, dalla letteratura alla didattica, Max Manfredi è un artigiano di musica e parole, ma anche uno dei pochissimi artisti della canzone che vale la pena di conoscere e amare oggi. Sulla scena da oltre vent’anni, Max Manfredi racconta di viaggi, climi, città e metropoli, storie d’amore e di disincanto, prende a schiaffi e carezze, evoca scene meridiane o crepuscolari in cui per riconoscersi basta un minimo di abbandono, e lo fa accompagnato da musicisti provenienti da esperienze disparate, eccezionali per tecnica e passione.
Una musica onnivora, meteoropatica, poeticissima. Una presenza magnetica sul palco. Un poeta della scena che, per lucidità ironica e potere visionario non ha eguali oggi in Italia.
Nel corso degli anni è nato nei suoi confronti un crescente culto, sin dalle vittorie della Targa Tenco e del Premio Recanati.
Definito da Fabrizio De André “il migliore in assoluto”, da Roberto Vecchioni “uno che non posso limitare col termine di cantautore”, apprezzato oltremodo da Dave Van Ronk (il musicista che ha ispirato il recente film dei fratelli Cohen), ascoltato dall’insigne linguista Tullio De Mauro, Max Manfredi è l’esempio di come si possano fare canzoni senza appoggiarsi a un genere o a un’etichetta, ma esplorando il “proprio” linguaggio, senza dimenticarne altri. Poterlo ascoltare è, per chi già lo conosce e lo ama, un’occasione preziosa. Per i semplici curiosi può diventare un incontro fortunato, lampante e necessario. Canzoni struggenti, sarcastiche, visionarie, liriche, a volte persino goliardiche; dove le parole sono musicali e la musica, poetica. Non “post” qualche “cantautorato”, non “dopo” la “canzone d’autore”, e non solo al suo fianco, ma attraverso e oltre le categorie.
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