Questa settimana, vista l’atmosfera gotica e cupa che la notte del 31 ottobre porta con sé, non potevano che consigliarvi una storia di fantasmi di tutto rispetto. Ci sono libri che si leggono e libri che ti leggono, Il giro di vite di Henry James appartiene a questa seconda categoria. Questa breve lettura è una vera e propria esperienza sensoriale, ti scava dentro lentamente, in maniera quasi ipnotica. Henry James ha saputo costruire una soglia sottile tra realtà e allucinazione, tra innocenza e colpa. Il giro di vite è un romanzo che non si limita a raccontare una storia di fantasmi ma ti invita a viverla e a dubitare insieme alla protagonista di tutto ciò che si vede e si sente.

L’esperienza di lettura comincia in modo ingannevole, una cornice narrativa, un gruppo di amici riuniti davanti al fuoco a raccontare storie. Un uomo introduce un manoscritto che contiene la testimonianza di una giovane istitutrice mandata in una tenuta isolata per prendersi cura di due bambini: Miles e Flora. Fin qui sembra un classico racconto gotico ma poi, la tensione inizia a salire come la febbre. La tenuta di Bly diventa un personaggio essa stessa. Viva, inquieta, avvolta da un silenzio che sembra quasi respirare. L’istitutrice comincia a veder figure spettrali, due presenze che appaiono e scompaiono nella nebbia: Peter e Miss Jessel, due servitori morti in circostanze oscure. Ma sono davvero li? O sono proiezioni della mente della donna? Il genio di Henry James sta proprio nel non rispondere mai a queste domande.
Pagina dopo pagina il lettore si trova intrappolato nello stesso labirinto percettivo della protagonista. Ogni parola è calibrata e sospesa. James non alza mai la voce eppure il terrore cresce ad ogni pagina. Non ci sono scene cruente ma solo il lento sfaldarsi della fiducia in ciò che è reale.
Leggere Il giro di vite è come osservare la nascita del moderno thriller psicologico, è il seme da cui discendono L’esorcista, The Others e Hill House. Oltre questo c’è qualcosa di più profondo: la paura che nasce non dai fantasmi ma dalla mente che li crea. Quando la giovane istitutrice parla dei bambini del loro candore che le sfugge, del sospetto che nascondano qualcosa, il lettore sente che non si tratta solo di spettri, è la purezza stessa che viene contaminata, l’infanzia che si incrina sotto il peso della visione adulta. Henry James costruisce un romanzo che non termina mai davvero. Anche dopo l’ultima pagina resta il dubbio. La domanda che si pone il lettore non è più se i fantasmi esistano realmente, ma quanto possa fidarsi dei suoi occhi. Proprio in questo sta il genio: trasformare il soprannaturale in uno specchio dell’inconscio.
Questo libro è una vera e propria esperienza sensoriale, sembra di attraversare un sogno febbrile, come guardare un riflesso nell’acqua che non smette di tremare e che fa capire al lettore che, in fondo, non esistono spettri più terribili di quelli che ci portiamo dentro.





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