Lolly Willowes è un libro che non alza la voce e non insegue il lettore, lo osserva da lontano con discrezione, come una donna che è stata educata a non disturbare e poi, senza preavviso, lo conquista. Lo fa con la grazia di una rivelazione sussurrata, con il tono sommesso di chi ha passato tutta la vita a compiacere gli altri e un giorno decide finalmente di vivere per se.

Sylvia Townsend Warner ha pubblicato questo romanzo nel 1926, in un’epoca in cui il desiderio femminile di autonomia era ancora un’inquietudine mal tollerata. La storia di Laura “Lolly” Willowes è un gesto di insubordinazione gentile ma radicale: una donna di mezza età che si ribella non con clamore ma con una fuga e un’improvvisa alleanza con la natura e con il Diavolo, certo, ma non quello che ci aspettiamo.
Ecco perché diventiamo streghe: per mostrare il nostro disprezzo per chi finge che la vita sia un luogo sicuro, per soddisfare la nostra passione per l’avventura
L’inizio del romanzo è una lenta pressione, quella che grava su Lolly per tutta la sua esistenza. Rimasta orfana, viene portata dal fratello a vivere a casa sua insieme alla sua famiglia, assorbita come un pezzo di mobilio: educata, diligente e sempre disponibile. Una donna ben sistemata secondo l’ottica della società dell’epoca. Eppure in quella compostezza si avverte presto una crepa: Lolly è presente ma non viva, è come se abitasse la propria vita in affitto.
Warner costruisce questo mondo domestico con estrema precisione: i salotti soffocanti, le conversazioni educate e i doveri rituali, tutto concorre a un sentimento di calma claustrofobia. Quella in cui vive la protagonista è un’Inghilterra perbene in cui il ruolo di una donna è definito e impermeabile. Lolly lo abita con cortesia ma senza trasporto. Il romanzo cambia passo quando lei sente una sorta di richiamo, non una voce ma un’inclinazione che la spinge a riflettere su quanto vorrebbe essere altrove in quel momento, sensazione che cresce fino a diventare un’urgenza. Così decide di lasciare Londra, il primo gesto realmente deciso da lei in tutta la sua vita, e trasferirsi a Great Mop, un villaggio ai margini del mondo, immerso nei boschi.
Non si diventa streghe per fare del male a questo e quello, e nemmeno per fargli del bene come dame di carità a cavallo di una scopa. È proprio per sfuggire a tutto questo. Per avere una vita propria e non un’esistenza elemosinata dagli altri
Qui Lolly dispiega la sua anima più autentica. L’autrice descrive la campagna inglese con un incanto sobrio e potente, il fruscio del vento, i sentieri che scompaiono nel nulla, la compagnia silenziosa delle piante, non sono semplici descrizioni ma sembrano aperture verso un’altra dimensione, quella cui la protagonista finalmente diventa se stessa.
In campagna Lolly non si trasforma ma rivela la sua vera natura, è un’identità che affiora, libera dal bisogno di essere utile, accomodante e socialmente decorosa. Proprio in questo contesto arriva il patto con il Diavolo, un elemento fantastico che non disturba ed armonizza il tutto. Il Diavolo non è un’entità demoniaca ma rappresenta la libertà assoluta, non un male ma una non autorità.
Quello era uno dei vantaggi dell’avere a che fare con le streghe: loro non ci trovano niente di strano se ti comporti in modo un po’ stravagante, non ti guardano con severità se fai tardi a pranzo, non si preoccupano se resti fuori tutta la notte, non ti subissano di domande e recriminazioni quando alla fine rincasi. Che piacere stare di fianco a persone che preferiscono i loro pensieri ai tuoi
Il tema della stregoneria in Lolly Willowes è uno specchio che non suggerisce poteri magici, ma la possibilità di esistere fuori dalle norme e trovare un proprio territorio interiore, inarrivabile dalle aspettative sociali. Essere strega significa recuperare il diritto alla solitudine al pensiero e all’essere un mistero, è la libertà di non appartenere a niente e nessuno.
Warner non trasforma la protagonista in un’eroina ribelle, la rende semplicemente vera. La sua magia è un atto di autodeterminazione e non di trasgressione, è una calma rivoluzione femminile in un’epoca in cui anche desiderare un proprio spazio era un atto sovversivo.
Lo stile del romanzo è una delle armi più raffinate dell’autrice che scrive con un’ironia gentile ma tagliente e una malinconia che non sfocia mai nel vittimismo. Lolly osserva il mondo con lucidità che a tratti fa sorridere e a tratti fa soffrire. Ogni frase è un equilibrio tra compostezza e ribellione, tra accettazione e desiderio di fuga. La magia non è il fulcro narrativo ma la mente attraverso cui si osserva la condizione femminile dell’epoca. Un modo elegante e quasi sovversivo per denunciare l’assurdità di una società che riduceva le donne a mere funzioni.
Il romanzo resta ancora oggi sorprendentemente attuale. Parla a chiunque si senta intrappolato in ruoli non scelti, a chiunque abbia passato anni ad accontentare il mondo intero ignorando la voce interiore che chiedeva solo spazio per sé. Lolly ci ricorda che la libertà spesso comincia da un atto di sottrazione, qualche volta per vivere davvero bisogna scomparire un po’ dal mondo mondo degli altri e rifugiarsi nel proprio.







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