Il canto della balena non è una semplice romanzo, la sensazione che lascia nel lettore una volta girata l’ultima pagina è quella di averlo attraversato in silenzio come si attraversa una stanza dove qualcuno ha appena pianto. Questo è un racconto sottile, apparentemente dimesso, ma che lavora in profondità con la pazienza antica delle maree. Non incalza e non cerca di stupire, vuole solo dare voce a chi non è mai riuscito a farsi sentire, proprio come la famosa balena solitaria che canta emettendo suoni a 52-hertz non udibili dalle altre della sua specie.

Machida Sonoko appartiene a quella tradizione letteraria giapponese che conosce il valore delle cose non dette. Infatti nulla è spiegato fino in fondo, i personaggi vivono, ricordano ed osservano, portando il lettore a fare ciò che oggi si fa sempre meno: fermarsi e provare ad ascoltare ciò che prima non avrebbe notato.
La storia procede attraverso piccole scene di vita quotidiana alternate a dei flashback in cui una giovane ragazza che è scappata in campagna per cercare di rifarsi una vita, si imbatte per caso in un bambino con evidenti segni di maltrattamento e, rivedendo la se stessa bambina in lui, decide di aiutarlo e proteggerlo facendogli capire piano piano che, nonostante lui non parli e nessuno sia in grado di ascoltarlo, proprio come la balena da 52-hertz, lei quella frequenza riesce a percepirla.
Una balena a 52 hertz. Si dice che sia la balena più sola del mondo. Per quanto la sua voce risuoni nelle immensità del mare, non c’è neanche un suo simile che la possa sentire, è stata scoperta perché continua a cantare anche se non c’è nessuno in grado di udirla
Nessuno dei due quindi sarà più solo, entrambi saranno l’uno la forza dell’altra e accompagneranno il lettore in questo viaggio attraverso un dolore trattenuto ed educato, proprio di chi ha sempre sofferto molto ma ha imparato a farlo senza disturbare nessuno.
Questo romanzo diventa quindi una vera e propria dedica a chi ha sempre fatto un passo indietro nonostante avesse voglia di correre, a chi si è sempre curato da solo le ferite per non disturbare o far preoccupare gli altri e, soprattutto, a chi vive con la sensazione costante di non essere nel posto giusto al momento giusto.
Quel ragazzino aveva il mio stesso odore. L’odore della solitudine non proviene dalla pelle o dalla carne, ma è radicato nel cuore.
La scrittura è essenziale e scorrevole. Ogni frase è ponderata con attenzione, come se l’autrice sapesse che una sola parola di troppo potrebbe rompere l’equilibrio. Il passato e il presente si alternano continuamente come onde che si rincorrono. I ricordi sono vere e proprie ferite mai del tutto guarite, che hanno imparato a convivere con il presente. L’autrice sembra voler dire che alcune esperienze non si supereranno mai del tutto, semplicemente si impara a portarle con silenziosa dignità. Questo romanzo chiede al lettore rispetto per quel dolore e disponibilità emotiva per provare ad ascoltare quel canto ad una diversa frequenza. In cambio offre qualcosa di raro, la sensazione di essere stati compresi senza essere giudicati.
Questo è il libro giusto per chi ama quelle storie che restano addosso e per chi riconosce il valore del silenzio.
Non volevo più avere a che fare con nessuno. Eppure, ora che il mio desiderio si era realizzato avvertivo un bisogno di tenerezza. Fui assalita dalla malinconia.







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