Il cinema coreano ha dimostrato più volte di saper parlare al cuore del pubblico con storie intime ed universali, capaci di fondere melodramma, fantascienza e riflessione sociale. Wonderland, ultimo lavoro di Kim Tae-yong prodotto da Netflix, si inserisce con decisione in questa tipologia di film, è un’opera che parte da un presupposto futuristico per indagare il bisogno profondamente umano di tenere stretto ciò che inevitabilmente ci sfugge, ossia la vita e l’amore.
Il film si apre con una premessa tanto semplice quanto travolgente: esiste un servizio chiamato Wonderland, che consente di parlare con simulazioni digitali di persone scomparse o impossibilitate a comunicare. Basta fornire dati, foto, video e ricordi: l’intelligenza artificiale elabora e restituisce un surrogato realistico dell’amato. Non un ricordo, non un sogno, ma una “presenza” capace di parlare, interagire e consolare.

A partire da questa idea, Kim Tae-yong costruisce un mosaico di storie che si intrecciano, ognuna con il proprio carico di dolore e speranza. Una giovane donna per esempio, usa Wonderland per rivedere il fidanzato in coma. Una madre malata terminale sceglie invece di affidare alla piattaforma la propria immagine così che la figlia possa continuare a sentirla vicino anche dopo la morte. Questi due filoni narrativi, intrecciati ad altri, non hanno bisogno di effetti speciali spettacolari per colpire, bastano sguardi, dialoghi e silenzi pieni di ciò che non si può dire nella vita reale per stupire lo spettatore.
Ciò che colpisce in Wonderland è la delicatezza con cui viene affrontato il tema del lutto. Non c’è mai sensazionalismo, non c’è compiacimento, Kim Tae-yong evita di trasformare la tecnologia in un feticcio o in un mostro minaccioso, al contrario la tratta come una lente attraverso la quale osservare i nostri desideri più vulnerabili. La domanda che aleggia per tutto il film è semplice ma crudele: fino a che punto è giusto aggrapparsi a un’illusione pur di non soffrire?
Il regista non ci dà delle risposte dirette, lo spettatore non viene spinto a giudicare ma a riflettere. La tecnologia appare ambivalente: per qualcuno è un sollievo, per altri diventa una trappola che impedisce di accettare la perdita. Questa ambiguità è il vero punto di forza del film.

Anche il casto contribuisce in maniera decisiva. Ogni attore restituisce un’umanità fragile ma mai artificiosa. Gli interpreti non esagerano ma lasciano che siano i silenzi e i piccoli gesti a parlare. In un film che discute di realtà e simulazione, questa recitazione contenuta è veramente efficace. La fotografia gioca con toni caldi e soffusi, quasi a ricordarci che ciò che stiamo guardando non è mai del tutto reale. Le scene ambientate nel mondo digitale hanno una bellezza ovattata, che contrasta con l’asprezza della realtà quotidiana. Questo è un lavoro visivo che accompagna lo spettatore a distinguere ciò che appartiene al sogno e ciò che resta della vita vera.
Nonostante l’idea potente e la messa in scena curata, Wonderland non è esente da qualche piccolo difetto. L’ambizione di intrecciare più storie, ciascuna con un proprio arco emotivo, porta inevitabilmente a una certa dispersione e lo spettatore non può mai empatizzare completamente con ciò che sta osservando, restandone quindi più distaccato. Alcuni storie restano in superficie e mai del tutto approfondite, si percepisce la volontà di toccare più aspetti del tema ma il risultato è un ritmo che a tratti si dilata rischiando di smarrire il pubblico. Anche il tono emotivo ha il suo limite. In certi momenti la storia indugia su un melodramma fin troppo costruito, lo spettatore intuisce dove la storia andrà a parare e questo indebolisce l’impatto di scene che sarebbero potute essere più spontanee e genuine, sembra quasi che la sceneggiatura voglia guidare con troppa insistenza le emozioni invece di lasciarle fluire con naturalezza.
Infine il film non spinge fino in fondo sulla riflessione tecnologica. L’intelligenza artificiale è uno strumento narrativo e non un vero campo di speculazione. Non si parla di limiti etici, legislativi o tecnici in maniera approfondita, l’attenzione resta sempre focalizzata sull’aspetto umano, come se l’uso della tecnologia in questo modo sia una cosa assolutamente normale.

Nonostante queste imperfezioni comunque Wonderland resta un’opera che lascia il segno. Non tanto per la trama in sé, quanto per l’eco emotiva che risveglia nello spettatore. Tutti prima o poi ci siamo confrontati con una perdita e il film ci costringe ad immaginare cosa avremmo fatto se avessimo avuto la possibilità di trattenere nel nostro quotidiano chi non c’è più, è un pensiero dolce e crudele allo stesso tempo.
La forza di Kim Tae-yong sta proprio nel non offrire un finale rassicurante, non c’è la promessa che la tecnologia risolva il dolore, né l’avvertimento apocalittico che lo amplifichi. Ciò che resta è l’idea che la memoria, con le sue luci e le sue ombre, non possa essere delegata ad un algoritmo, per quanto preciso esso possa essere. L’elaborazione del lutto è un cammino doloroso e necessario che nessuna macchina può compiere al posto nostro.
La visione di Wonderland è quindi più che consigliata. Non rivoluziona né la fantascienza né il melodramma, ma mette in scena con eleganza un tema che è caro ad ognuno di noi, ovvero il bisogno di non lasciar andare chi amiamo. Ci invita a pensare, discutere e interrogarsi sul presente e sul futuro. Alla fine più che la tecnologia, ciò che resta negli occhi dello spettatore sono i volti, gli abbracci mancati e le parole sospese. La vera meraviglia di questa storia non è la simulazione digitale, ma la consapevolezza che ciò che rende unico un legame è proprio la sua irripetibilità. Wonderland ci ricorda che non esiste algoritmo capace di sostituire l’assenza. Possiamo simulare un volto, una voce, un ricordo ma il vero miracolo resta il coraggio di lasciar andare.

Di seguito vi lasciamo una serie di curiosità legate a Wonderland:
- Questo film segna il ritorno alla regia di Kim Tae-yong dopo un decennio di silenzio cinematografico
 - La lavorazione del film è durata diversi anni e ha richiesto complessi effetti digitali soprattutto per dare alle simulazioni un aspetto realistico ma allo stesso tempo non del tutto umano.
 - Wonderland è uno dei film coreani con il cast più stellare degli ultimi tempi, ogni attore principale ha una forte fanbase internazionale, scelta che ha contribuito alla visibilità globale del progetto.
 - Kim Tae-yong ha più volte dichiarato che l’ispirazione per il film nasce da una riflessione personale, ovvero la paura di perdere i propri cari e il desiderio di poterli rivedere anche solo in una forma immaginaria
 - La tematica affrontata si collega al dibattito contemporaneo sull’uso della IA per resuscitare digitalmente figure pubbliche o familiari, fenomeno che già oggi suscita discussioni etiche molto accese.
 







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