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Ti trovi qui: Home / Articoli / C'era una volta Cary Grant / Intrigo Internazionale

Intrigo Internazionale

Roberto Lasagna C'era una volta Cary Grant Lug 26th, 2025 0 Comment

Intrigo internazionale (North by Northwest, 1959), ultima collaborazione tra Alfred Hitchcock e Cary Grant è, prima de Gli uccelli (1963), un’opera aperta e enigmatica, i cui echi, negli anni a venire, si lasceranno avvertire non soltanto nella cinematografia di spionaggio che vede ancora oggi come capostipite l’inossidabile James Bond, ma soprattutto nella composizione scenografica, dai tratti iper-reali, e nella disinvoltura narrativa, proprie del nuovo cinema hollywoodiano che seguirà. La singolarità del film è da leggere a più livelli. Anzitutto, come convenivano il regista e Truffaut nel loro celebre libro-intervista, questo film è la sintesi dell’Hitchcock americano, un vero e proprio film summa (anche) della collaborazione tra due uomini di cinema ritrovatisi ancora una volta fianco a fianco per realizzare un grande film e portarsi verso una libertà creativa fatta di vette allegoriche e di ironia colma di clamorosi sottintesi.

Il cineasta, ritrovando il glamour di Grant, lascia momentaneamente da parte – seppure non del tutto – i toni sepolcrali e claustrofobici delle opere appena precedenti (Il ladro, La donna che visse due volte) e che riemergeranno di lì a breve (Psycho, Gli uccelli, Marnie), senza contraddirne perciò la profondità e la resa espressiva, ma concede al suo spettatore la chance di inserirsi nella vicenda dell’uomo d’affari Roger Thornill come se si trattasse di un qualunque film brillante cucito sullo statuto divistico del suo interprete. Più che mai il film si propone come una frenetica sarabanda avventurosa e la presenza annunciata del divo nel casting ne prefigura la vocazione icastica. Ma sin da subito, cioè dai titoli di testa che scorrono come grandine sulla facciata “a specchio” di un grattacielo (un’esplosione di linee voluta da Saul Bass in sincrono con i rimbalzi simbolici di un Bernard Hermann sfarzoso e teso), siamo messi in guardia sul vortice di smarrimento in cui ci condurrà il racconto, in piena continuità con il precedente film di Hitchcock, La donna che visse due volte, che sin dai titoli di testa sempre curati da Bass rendeva omaggio alle atmosfere e ai contenuti della vicenda.

Intrigo internazionale è il ritorno al cinema degli inseguimenti, della suspense concitata, degli imprevisti che portano il personaggio verso nuove e inattese direzioni. Nella stratificazione delle sue valenze, il film disegna un percorso votato al disvelamento della verità e dell’identità, in uno scenario di accumulazione narrativa che sembra contraddire la linearità compositiva dei film appartenenti al periodo inglese del regista. Il nuovo film appare fortemente influenzato dalle suggestioni simboliche della produzione moderna, pur essendo, per l’appunto, un film d’avventure, tutto azione ed inseguimenti. Anche nella struttura roboante e sovra-tono dell’opera si esprime la sua prestanza, la baldanza figurativa di un lavoro compiuto e ricco, affascinante e insieme “facile”, come richiede la legge dello spettatore a cui il regista si è sempre affidato per giudicare la riuscita di un film. Cary Grant è Roger Thornill l’uomo intraprendente e disinvolto, l’ambasciatore di una vita apparentemente rosea votata alla prevedibilità di un successo professionale senza smagliature.

Nella vita (professionale e domestica, perché non sembra esserci molta differenza tra le due dimensioni) ha la qualifica di pubblicitario, dunque è un uomo alla moda, con i vestiti mai sgualciti, con la segretaria tuttofare che gli ricorda ogni mattina i suoi impegni mondani e di lavoro, mentre ogni appuntamento d’affari si svolge in un locale bene di New York. L’oppressione e il senso d’imprigionamento sono pur sempre dietro l’angolo, benché temporaneamente esorcizzati dall’ironia di Thornill e dall’inappuntabile “self control” che ricacciano le paure nel limbo di una sospensione coatta. L’impiego di Cary Grant in qualità di attore protagonista, pertanto, rende questa volta pienamente conto della scelta di Hitchcock di lasciar identificare lo spettatore con uno dei suoi interpreti-feticcio, il cui aplomb permette di gustare come particolarmente divertenti, quando non paradossali, le situazioni affrontate nel corso della vicenda. Così è nel rapporto compiacente con una madre che tratta il figlio cinquantenne Roger senza avere minimamente coscienza della gravità delle situazioni in cui una persona come lui possa accidentalmente trovarsi. Tra i quattro film della collaborazione tra Hitchcock e Grant, Intrigo internazionale è sicuramente il capitolo più aereo e imprevedibile, più moderno e pirandelliano.
La vicenda prende le mosse da uno scambio di persona. Roger Thornill, il nostro protagonista, viene sequestrato dagli uomini di un’organizzazione spionistica che lo credono un agente federale: George Kaplan. Viene quindi scortato in una residenza, al cui ingresso si legge il nome “Towsend”. Colui che si presenta come il padrone di casa (Phillip Vandamm, che è in realtà il capo dell’organizzazione magnificamente interpretato da James Mason) interroga Roger ma non si convince della sua identità, continuandolo a credere Kaplan. Roger viene ubriacato a forza, caricato su un’auto e spinto verso una morte certa. Salvato da un guardiaboschi, Roger si mette sulle tracce del vero Towsend al palazzo delle Nazioni Unite, e gli mostra una foto del falso Towsend nella speranza che il diplomatico lo identifichi. Prima che possa rispondere, Towsend cade in terra con un pugnale piantato nella schiena. Roger cerca di soccorrerlo ma si ritrova con l’arma del delitto in mano, e la gente pensa che lui sia l’assassino. Roger è così costretto alla fuga. In un ufficio governativo vengono chiariti alcuni aspetti della vicenda. In realtà l’agente federale Kaplan è un nome fantasma, ideato dall’FBI per depistare l’organizzazione di Vandamm. Il controspionaggio americano è anzi del parere che per motivi di sicurezza la polizia non debba intervenire in nessun caso a tutela di Thornill. Questi se la dovrà cavare da solo. In realtà l’FBI gli metterà alle calcagna la bella agente in incognito Eve Kendall (Eve Marie Saint), che sul treno per Chicago lo aiuterà a sfuggire il controllo della polizia.

In questo quadro, Hitchcock, innestando il gioco dei fraintendimenti, amplifica la percezione di assoluta precarietà delle relazioni; l’intrigo spionistico, confidando più che in altre occasioni sull’effetto di sorpresa, gli serve per portare al parossismo la frenesia di una vita in perpetuo movimento, che si sorregge su di una serie di convenzioni e di illusioni. Molti elementi, nell’esistenza “leggera” e scanzonata dell’uomo moderno, non sembrano avere troppo senso, paiono tracce di un abbandono all’accidentalità delle evenienze. Esemplare di questa dimensione ci sembra proprio l’incontro tra Roger e Eve sul treno per Chicago. In qualità di spettatori, noi non sappiamo perché la donna salvi Roger dalla polizia, ugualmente non possiamo credere, di primo acchito, in un colpo di fulmine. Quando, nel vagone ristorante, Eve dimostra di sapere che l’uomo è ricercato dalla polizia per l’omicidio delle Nazioni Unite, Roger sente di avere trovato un appiglio nel vortice di indecifrabilità in cui si è sfortunatamente cacciato; eppure, non conosce nulla di questa donna, la quale nel corso della vicenda cambierà per due volte identità dinanzi ai suoi occhi. Come in La donna che visse due volte (Vertigo, 1958), l’identità pare dispersa nei mille travestimenti assunti dalle persone per sfuggire alla propria precarietà psichica, ma in Intrigo internazionale il disvelamento sembra un percorso sinuoso e protratto al termine del quale si scopre soltanto che la verità poggia su un’ennesima illusione (e il film si conclude con la celebre ellissi che trasporta la coppia dalla minacciosità dei monti Rushmore, alla non meno tortuosa pericolosità – per il personaggio hitchcockiano – della vita matrimoniale). Film-inseguimento, funambolico e sontuoso, lascia deambulare il personaggio nei grovigli di una teatralità minacciosa e allegorica, come in Io ti salverò, ma la sua enigmaticità questa volta non ha bisogno di simboli onirici per comunicare sgomento, bastandole le insidie di un reale incomprensibile anche se apparentemente luminoso (la sequenza, fatta di silenzi e di inquietanti attese, del biplano che dà una caccia spietata all’ignaro e indifeso Roger, è un esempio perfetto di “angoscia senza comunicazione”), da cui origina l’assoluta difficoltà nel rapportarsi con gli altri, fatta salva la possibilità di affidarsi al proprio istinto che però può trarre in inganno.

 

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Roberto Lasagna

Saggista e critico cinematografico, ha scritto numerosi libri, tra cui "Martin Scorsese" (Gremese, 1998), "America perduta. I film di Michael Cimino" (Falsopiano, 1998), "Lars Von Trier" (Gremese, 2003), "Walt Disney. Una storia del cinema" (Falsopiano, 2011), "Il mondo di Kubrick. Cinema, estetica, filosofia" (Mimesis, 2015), "2001: Odissea nello spazio di Stanley Kubrick" (Gremese, 2018), "Anestesia di solitudini. Il Cinema di Yorgos Lanthimos" (Mimesis, 2019), "Nanni Moretti. Il cinema come cura" (Mimesis, 2021), "David Cronenberg. Estetica delle mutazioni" (con R. Salvagnini, M. Benvegnù, B. Pallavidino, Weirdbook, 2022), "Steven Spielberg. Tutto il grande cinema" (Weirdbook, 2022), "Ken Loach. Il cinema come lotta e testimonianza" (Falsopiano, 2024).

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