Questa settimana, per la nostra rubrica domenicale, vi vogliamo proporre la visione di un film ormai molto conosciuto e vincitore di ben 4 premi oscar: Parasite di Bong Joon-ho.
Ci sono film che si guardano e altri che si vivono, Parasite appartiene a questa seconda categoria. Non ti lascia tranquillo, non ti permette di restare spettatore neutrale, ti trascina dentro una storia che sembra una commedia leggera e poi, scena dopo scena, ti schiaccia con il peso delle sue domande.
La prima sensazione che si ha iniziando la visione è quasi divertente, la famiglia Kim che escogita stratagemmi per sopravvivere, quel seminterrato umido e claustrofobico che sembra quasi una caricatura di un sogno mancato, li si osserva con un sorriso amaro, sembra quasi di conoscerli perché, dietro la loro furbizia si nota la fatica quotidiana che tutti, in un modo o nell’altro, affrontano.
Poi arriva la casa dei Park, tutta luminosa con vetrate immense e spazi enormi. È impossibile non restare affascinati da quella villa così perfetta da sembrare una copertina di una rivista di design. Eppure, mentre le riprese scivolano sui pavimenti lucidi e il giardino perfettamente curato, si sente che c’è qualcosa di sbagliato. Tutta questa bellezza è così perfetta e pulita da diventare inquietante.
Quando i Kim iniziano a insinuarsi nella vita dei Park sembra tutto un gioco, la bravura con cui si inventano i ruoli, la complicità silenziosa che li lega, la comicità sottile di una famiglia che recita un copione improvvisato, fa ridere lo spettatore che si rilassa e si lascia andare. Ma questa dolce sensazione dura ben poco. Ogni sequenza rivela un’ombra cupa e angosciante. La discesa nel seminterrato segreto è come spalancare una porta che nessuno dovrebbe aprire. All’improvviso l’atmosfera si spezza, il tono leggero si trasforma in un brivido gelido che corre lungo la schiena. Lo spettatore si ritrova così a trattenere il respiro con la consapevolezza che da quel momento non ci sarà più ritorno.
La pioggia poi diventerà importante come un personaggio reale della storia. Quel temporale che per i Park è solo un fastidioso spettacolo da osservare, per i Kim sarà una vera catastrofe. Vederli camminare nell’acqua sporca che sommerge il loro seminterrato, fa sentire lo spettatore impotente. Come nella realtà di ogni giorno, la stessa pioggia che per qualcuno è poesia, per altri è una vera rovina, ed è proprio in questa immagine che si condensa tutto il senso del film.
La casa dei Park non è solo un set cinematografico costruito da zero, ma diventa un personaggio silenzioso che osserva, giudica e inghiotte. I suoi spazi sono organizzati come una gerarchia sociale, chi sta sopra gode di luce ed aria, chi scende di sotto è destinato all’umido e all’oscurità. Ogni scala che i personaggi percorrono e ogni finestra sono i simboli reali della disuguaglianza.
Guardandola ci si accorge che il film non parla solo della situazione sociale in Corea, ma anche di tutti noi, delle nostre città divise tra ricchezza e povertà, dei quartieri che non si incontrano mai e delle distanze che nessuna pioggia o nessun ponte potranno mai colmare davvero.
L’ultima parte del film è un vortice che non lascia scampo. Violenza improvvisa, sangue, grida e sogni che si frantumano. Lo spettatore resta immobile, col fiato sospeso e incapace di staccare lo sguardo mentre sente crescere dentro un misto di rabbia e malinconia.
Il sogno di riscatto dei Kim si trasforma in tragedia e il sorriso iniziale viene spento per sempre. Lo spettatore alla fine è portato a chiedersi chi sia il vero parassita, chi si arrampica con astuzia o chi vive di privilegi senza rendersene conto? Forse lo sono entrambi.
Quando arrivano i titoli di coda resta un silenzio difficile da sciogliere e ci si accorge di non aver visto un semplice film ma di aver attraversato uno specchio che riflette le disuguaglianze del nostro tempo. Con i 4 oscar, la palma d’oro di Cannes, Il Golden Globe e molti altri importanti riconoscimenti internazionali, Parasite ha riscritto la storia della cinematografia Coreana, questo non è solo un film da guardare ma è una pellicola che si vive, si respira e alla fine resta dentro come una ferita che non si rimargina.
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