Un amore splendido
L’idea di partenza di Un amore splendido (An Affair to Remember, 1957), grande successo interpretato da Cary Grant e Deborah Kerr e rifacimento di un altro film dello stesso autore intitolato Un grande amore (Love affair, 1939), risale a una sensazione avuta dal regista Leo McCarey al ritorno con la moglie da un viaggio in Europa, quando dalla nave scorse la sagoma dello skylne di New York. Ed è vivendo un’atmosfera di penetrante disorientamento che nel film la coppia composta dall’elegante Nickie Ferrante e dall’affascinante Terry McKay, al termine di una crociera al largo del Mediterraneo, si affida alla promessa di ritrovarsi sei mesi dopo sulla terrazza al 102esimo piano dell’Empire State Building nella città di New York. Tra di loro è nata una passione che riporta a galla una delle convenzioni narrative più frequentate dal melodramma cinematografico, quello dell’amore avversato dalle circostanze sfavorevoli.
Nickie (Cary Grant) è un irresistibile playboy ben noto alla stampa rosa e in procinto di sposarsi con una ricca ereditiera principalmente per ragioni economiche, mentre Terry (Deborah Kerr) è una cantante che ha messo da parte la carriera e, come Nickie, ha scelto una vita superficiale e di sicurezze rinunciando all’ebbrezza dei sogni di gioventù. Sono entrambi impegnati in altre storie d’amore ma durante la crociera è immediata la loro simpatia, con i sentimenti che li muovono e portano in luce motivi più profondi. Mentre Nickie ammette, con la candida e disarmante schiettezza che sa infondere Cary Grant al personaggio, di non avere mai lavorato in tutta la sua vita, Terry, nella personificazione sottile e intensa di Deborah Kerr, è il volto che non si sottrae all’evidenza di un sentimento che cresce quasi sottotraccia offrendo alla nuova coppia un sentiero di riscatto/redenzione grazie alla scoperta di un sentimento d’amore sincero. Leo McCarey, maestro della comicità (diresse numerosi cortometraggi con Laurel e Hardy che si fregiò di aver “inventato” e diede vita allo strepitoso ed esilarante La guerra lampo dei fratelli Marx, 1933), seppe raccontare con profondità i sentimenti (per Jean Renoir, nessuno a Hollywood meglio di McCarey capiva le persone).
Vent’anni dopo un fiore all’occhiello della screwball comedy come L’orribile verità (The awful truth, 1937), con Un amore splendido McCarey torna a lavorare assieme a Cary Grant coinvolgendolo in un’incursione nel campo del melodramma di cui il regista aveva dato prova ammirevole in un titolo come Cupo tramonto (Make way for tomorrow, 1937), incentrato sui sentimenti di una coppia di anziani trascurati dai figli e in difficoltà economiche. Un amore splendido vede confluire i due ambiti espressivi prediletti da McCarey, la sophisticated comedy e il melodramma, con Cary Grant sfavillante nella parte del dongiovanni e credibilissimo nel lasciar trasparire le emozioni di un amore vero che lo porta a un bisogno di cambiamento a cui risponde, pienamente a suo agio, Deborah Kerr, magnetica e convincente interprete sia nei momenti di commedia sia quando l’atmosfera si carica di note più drammatiche. Nel melodramma sovente il Fato si frappone tra i desideri delle persone che ardono di passione e la posta in gioco, per dar espressione ai desideri, si alza. Nel film ciò è simbolizzato esemplarmente dal luogo che i due amanti individuano per verificare, a distanza di sei mesi dalla fine della loro crociera, la tenuta dei loro sentimenti: se nessuno si sarà intromesso nei loro cuori, Nickie e Terry si potranno ritrovare in cima al grattacielo, liberi di potersi amare e di vivere una vita nuova basata su una ritrovata autenticità (lui farà il pittore, lei la cantante). McCarey sa tenere fede ai canoni espressivi che intende portare in scena e la sophisticated comedy domina i tempi perfetti della prima parte del film, quando soprattutto Terry è preoccupata di tenere nascosta ai paparazzi e ai numerosi viaggiatori della crociera la relazione che sta sbocciando con Nickie. I motivi di comicità di cui McCarey è maestro divertono con leggerezza grazie ai tentativi (spesso maldestri) di Nickie e Terry di non dare nell’occhio, per difendere il loro sentimento da sguardi non desiderati e dai pettegolezzi. Poi, soprattutto nella seconda parte, le accensioni melodrammatiche sono senza filtri, e nonostante Un amore splendido sia spesso considerato perdente in un confronto sommario con il predecessore Un grande amore, McCarey ha proprio bisogno di Cary Grant per questo nuovo film, perché la schiettezza con cui può permettersi di essere meno asciutto e affondare nel commovente è garantita dalla genuina franchezza delle espressioni e dal portamento di un Nickie Ferrante a cui l’attore restituisce non l’impaccio che talvolta è stato riconosciuto ingenerosamente alla sua interpretazione ma invece soprattutto un candore e un’eleganza disarmanti. Grant riesce a suscitare una fiducia nel sentimento amoroso grazie ai delicati e sottili coinvolgimenti trasmessi dalle sue espressioni.
Rispetto al film del 1939 Un amore splendido è figlio di un’epoca molto diversa, si porta con schiettezza più a fondo nelle motivazioni psicologiche e grazie al connubio tra commedia e melodramma coniuga lo splendore della forma con il mormorare dei sentimenti. La nave da crociera che riporta questi paladini della classe agiata americana in Europa non si incaglia contro un iceberg come il Titanic ma fa sosta nell’abitazione di Ianou, nonna di Nickie, presso una celestiale casa sulla scogliera a Villefranche-sul mer in Francia, dove Terry si convince ad accompagnare l’uomo convinta che voglia far visita a una delle sue fiamme e invece scopre il prodigioso talento per la pittura di Nickie il quale, troppo autocritico rispetto ai suoi talenti, lo ha messo da parte. L’occasione della sosta è anche un incontro con una dimensione di spiritualità interiore cara al cattolico McCarey. L’abitazione, attorniata dalle splendide vedute sul mare, ha nel suo interno una cappella in cui la coppia si ritrova in preghiera, mentre la nonna, che suona al pianoforte il tema del film, contribuisce a modulare un’atmosfera di raccoglimento interiore che riverbera d’ora innanzi in varie forme nel racconto cinematografico. Questa sosta è come un fatale snodo nella relazione di Nickie e Terry i quali si trovano dinanzi al bivio di fare pulizia rispetto a una vita vacua fatta di benessere materiale per ritrovare, con un amore vero, una dimensione di felicità. Hanno la possibilità di crescere, ma, secondo la morale del film, occorreranno dei sacrifici. Bisognerà responsabilizzarsi ed emanciparsi. Per Nickie, che deciderà di non sposarsi con la ricca ereditiera, si tratterà di vivere facendo il pittore, lavorando per la prima volta nella sua vita, facendo delle rinunce e lasciando definitivamente lo stato di eterno playboy, mentre Terry, fidanzata con un facoltoso uomo d’affari di cui non è davvero innamorata, potrà confessare il suo amore per Nickie mettendo fine al rischio di adagiarsi su sentimenti dimessi per vivere il coinvolgimento più sincero.
Ma McCarey alza la posta e le prove che i due personaggi devono affrontare diventano a un certo punto decisamente difficili, con una virata tragica, l’incidente ai danni dell’emozionatissima Terry travolta da un’auto proprio mentre sta per raggiungere l’Empire State Building per ritrovarsi con Nickie. Terry perderà l’uso delle gambe e Nickie, avendo atteso invano e per ore la donna, si convince che lei non lo ami più. Ma questa storia lo ha comunque cambiato, Nickie infatti non tornerà al vecchio stile di vita vacuo ma continuerà a dedicarsi alla pittura. E una sera, invitato a un concerto dall’ex fidanzata, ritroverà inaspettatamente Terry, anche lei accompagnata dal suo vecchio fidanzato, pur non avendo modo di accorgersi della condizione di infermità della donna. La quale, paralizzata su una sedia, adesso lavora come insegnante in una scuola parrocchiale e non ha voluto rivelare a Nickie la propria condizione. La nasconderà persino quando lui, riuscito a sapere dove abita Terry, le farà visita sotto Natale, portandole come dono lo scialle della nonna appena scomparsa.
Proprio in questa parte conclusiva di Un amore splendido, la tensione narrativa e la regia realizzano una sequenza di grande coinvolgimento emotivo dove lo spettatore sa di più di quanto non sappia Nickie: l’uomo, entrando a far visita Terry e trovandola distesa sul divano, pensa che lei si trovi in un momento di riposo, con la donna che non fa nemmeno un passo per alzarsi e salutarlo ma anzi pare remissivamente assecondare le parole di Nickie che provocatoriamente raccontano una realtà capovolta cercando di capire la reazione di lei. Lui le dice, riferendosi all’appuntamento all’Empire State Building, di non esserci potuto andare, attendendo con curiosità una reazione di lei che a quel punto si mette a recitare, non troppo convintamente, la parte della donna che si trovò realmente all’appuntamento. Si tratta di una sequenza di grande sottigliezza sul filo di un’ambiguità in cui ciascuno è consapevole di fingere, ma non ingannano invece i sentimenti che traspaiono sui volti degli straordinari interpreti. Fino alla rivelazione finale, come un lampo di trepidazione sul volto di un Cary Grant in stato di grazia il cui personaggio rammenta improvvisamente di aver dipinto un quadro raffigurante Terry e la nonna e di come il suo gallerista gli avesse riferito che una donna sulla sedia a rotelle ne era rimasta talmente colpita da volerlo per sé. Il dubbio che in un istante sale sul volto di Nickie lo spinge a cercare, nella camera da letto attigua, una conferma: sulla parete, vede il quadro appeso (mentre lo spettatore ne vede l’immagine allo specchio) finalmente comprendendo il motivo per cui lei non gli ha detto niente. Chiudendo gli occhi si consola di un enorme dolore andando a chiedere perdono per aver dubitato di lei e dissolvendo le loro distanze in un commovente abbraccio.
La loro via crucis trova il lenimento in un finale toccante in cui McCarey festeggia l’unione della coppia dopo aver condotto il suo racconto, impaginato su una sceneggiatura di Dalmes Daves che due anni dopo girerà Scandalo al sole (A Summer Place, 1959) con esemplare garbo sulla dimensione di un romanticismo delicato in cui traspaiono i vuoti esistenziali pur tra le smaglianti luci della fotografia a colori di Milton Krasner e i costumi fiammanti di Charles Le Maire. Questa coppia dapprima impegnata a non dare scandalo in crociera (Nickie e Terry appaiono al ristorante di bordo l’uno di schiena all’atro scatenando uno dei momenti più divertenti del film), vive all’arrivo a New York lo struggente disorientamento dell’assenza e del vuoto, quello per la consistenza di un sogno di ricongiungimento che potrebbe non andare a buon fine, quello per l’assenza della persona amata che riverbera nella struggente sequenza della seconda visita nella casa di Villefranche-sul-mer, quando il vuoto e il silenzio evocanti la dolorosa scoperta della dipartita della cara nonnetta, colmati unicamente dal ricordo della musica suonata, lasciano Nickie con quelle emozioni che riempiono il suo cuore e lo portano ad accarezzare lo schienale su cui poggiava l’amata scomparsa. La delicatezza nell’affrontare il dolore è offerta da queste immagini in cui Cary Grant è semplicemente perfetto nel tratteggiare un uomo i cui sentimenti per l’assenza delle amate compagne (il ricordo va a quando Terry girava nella stanza con la nonna) risuona nella musica che si ricongiunge drammaticamente con quella malinconia nata dalla consapevolezza di un presente che sfugge, diventa passato, mentre i sogni rischiano di svanire se non allarghiamo il nostro sguardo e la percezione, ovvero se non ci lanciamo, come fa Nick nel finale, a seguire un’intuizione o un’impressione, magari quella che ci suggerisce come oltre la porta chiusa ci sia una verità differente pronta a parlarci. L’immaginazione che vuole parte in causa lo spettatore in un film dove il primo bacio avviene in una porzione di spazio non visibile e per questo lascia un effetto potente come lo lascia in Un amore splendido la percezione dell’assenza. Gli specchi, i vetri, le acque del mare, come il film del 1939, riflettono un’immagine da scoprire, una verità che si rivela, come l’amore e i sentimenti. I vetri, in particolar modo, riverberano un motivo significativo del racconto, come l’immagine dell’Empire State Building riflessa nella porta a vetri dell’abitazione di Terry o l’immagine riflessa in uno specchio del dipinto che Nickie ha dedicato a Terry raccolta in preghiera nel finale.
Racchiuso tra questi rimandi allusivi alla memoria e al sentimento di assenza, contrassegnato dall’eleganza della regia e dal garbo dei suoi interpreti (“Nickie è solito salutare con la locuzione “pensieri sereni”), elegantemente calato tra i confini confini della romantic story, Un amore splendido è assurto nel tempo alla dimensione del classico tra i più citati, di cui esiste una terza versione, Love affair – Un grande amore, (Glen Gordon Caron, 1994), interpretata da Warren Betty e Annette Bening, coppia inossidabile anche nella vita, con la partecipazione di Katherine Hepburn, alla sua ultima apparizione, nel ruolo della nonna Ianou. Ma l’omaggio più convincente (e attualizzato) è quello offerto dal film di Nora Ephron Insonnia d’amore (Sleepless in Seattle, 1993), in cui Meg Ryan, con una passione per il film di McCarey, decide di dare appuntamento a Tom Hanks sull’Empire State Building di New York (situazione che portò il pubblico a noleggiare nelle videoteche e a riscoprire il film ispiratore).
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