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C’era una volta Cary Grant: La gente mormora di Joseph L. Mankiewicz

Roberto Lasagna C'era una volta Cary Grant Mag 13th, 2025 0 Comment

Il regista Joseph L. Mankiewicz si è cimentato con tutti i generi componendo una visione etica in cui la parola e lo spazio psicologico trovano un’attenzione prevalente rispetto all’azione. Fu considerato un cineasta dall’impostazione classica, in contrapposizione al preziosismo di un Welles, ma il suo contributo alla settima arte è un palcoscenico che si serve del teatro per espandere una visione dell’esistenza calata in ambienti di cui Mankiewicz analizza le caratteristiche e i limiti culturali. Servendosi di figure ricorrenti e personaggi la cui vicenda coinvolge esponenti della vita sociale, il cineasta sviluppa un accorato e approfondito ritratto dell’esistenza come messa in scena e scandaglio delle relazioni.

All’inizio degli anni Cinquanta, reduce dal trionfo dello scintillante Eva contro Eva (All About Eve, 1950), il regista decide di adattare una commedia teatrale di Curt Goetz che traduce in forma simbolica una posizione netta verso la dilagante caccia alle streghe e affida il ruolo del protagonista a Cary Grant, non a caso perfettamente a suo agio per il delicato equilibrio richiesto dal film La gente mormora (People Will Talk, 1951).

L’attore, abitualmente estraneo alle prese di posizioni politiche ma non certo insensibile alle ingiustizie e ai soprusi che affronta artisticamente attraverso le sue interpretazioni, porge la sua inappuntabile eleganza alla causa di Noah Praetorius, un ginecologo decisamente progressista, apprezzatissimo dai suoi pazienti, che con delicata nonchalance e un’indole ineffabilmente militante difende un atteggiamento anticonformista in un contesto in cui Mankiewicz, con incisività ma anche leggerezza sofisticata, porta il suo sguardo sagace sull’ipocrisia umana. Quando Deborah (Janette Crain), un’allieva di Noah, scopre di essere incinta e tenta il suicidio, il ginecologo, attratto dalla donna, l’aiuta senza troppo badare ai condizionamenti della sua professione a cui è pervenuto con una passione tutta personale, la raggiungerà nell’abitazione di campagna del padre e deciderà di sposarla. Il personaggio di Noah è sostenuto da un Cary Grant meticolosamente devoto al suo lavoro con i pazienti che cura come esseri umani e non come cavie, riuscendo ad attraversare con leggerezza e moderato istrionismo quell’ambiguità che il film suggerisce anche nel rapporto con un suo “amico”, il grosso e taciturno Shunderson (l’attore Finlay Currie), quasi un guardiaspalla che desta i sospetti del mediocre e invidioso professor Rodney (Hume Cronyn) il quale si impegnerà in un livoroso processo contro il popolare collega. Noah unisce una passione per la libertà di vedute che si riflette nel suo metodo professionale e in quello charme che conquista colleghi e studenti. Impegnato sul fronte professionale ma anche su quello artistico (è un perfetto direttore d’orchestra), è un uomo di cui conosciamo meglio alcuni aspetti in ombra quando il suo passato torna a galla nella confessione finale di Shunderson messo sotto accusa dall’Accademia ma per sempre devoto all’amico Noah. E l’interpretazione di Cary Grant è attraversata da una venatura di leggerezza che diventa materia della “cura” più attenta e psicologica condotta dal ginecologo, rivolta tanto verso i pazienti quanto verso l’ambiente su cui il film getta uno sguardo coraggioso.

La gente mormora, nonostante una certa schematicità nella parte centrale, riesce a muovere la potenza della sua accusa a una morale che infligge pene ingiuste ai deboli. I dialoghi sottili si scagliano contro pensieri di arretratezza e sono serviti al meglio dagli impeccabili interpreti su cui svettano la delicatezza coinvolgente di Cary Grant e l’animosa fragilità di Jeanne Crain che Mankievitz aveva valorizzato nel notevole Lettera a tre mogli (A letter to Three Wives, 1949). Utilizzando la brillante presenza scenica di Grant, il sottotesto nemmeno tanto mascherato del film innerva una polemica contro il pensiero comune, che pretenderebbe l’interruzione di una gravidanza esterna al matrimonio. Un motivo che invece nel film diventa da accogliere grazie al ginecologo illuminato a cui interessa innanzitutto la vita. L’umanitarismo del personaggio è parte di uno spirito innovatore che si raccoglie nella musicalità con cui Noah muove l’aria giocosa e coraggiosa della sua esistenza ispirando fiducia e un coinvolgimento che porta lo spettatore a condividere quello che nel film diventa un affondo contro il clima di delazioni e paranoia del maccartismo, l’epoca messa in parallelo con l’arretratezza di ideologie che impedisce alla società di adeguarsi al presente. L’astioso accademico Rodney, ottusamente integerrimo e incapace di apprezzare il successo e il talento del collega, coinvolge l’istituzione in un clima di sospetto che porterà a un processo dove avrà la meglio la spiazzante generosità, il progressismo disinteressato di Praetorius. E il racconto, salvaguardano un singolare equilibrio tra smascheramento della pochezza morale e momenti di gaudioso dileggio dei depositari di arcaici principi (come i proprietari terrieri incapaci di sottrarsi alle loro fruste idee), libera un’inquietudine che si rasserena con sfumature non convenzionali grazie alla delicata morbidezza del pensiero e dello stile di Noah, la cui ambiguità è suggerita nel film dal rapporto con Shunderson, che nel finale svela anche aspetti di umorismo nero, e che suggerisce la sensibilità del ginecologo in grado di comprendere le donne e di essere un marito in grado di sbarazzarsi dei luoghi comuni e infondere confortante comprensione.

Un personaggio che appartiene al novero dei personaggi più apprezzati di Cary Grant, commediante sensibile il cui sguardo libero, sulla vita di coppia e sulla sessualità, appare ancora più delineato allo spettatore contemporaneo. Questa volta Grant e il suo personaggio sono motori di una provocazione che desta scandalo nella comunità, con la regia maiuscola di Mankiewicz in grado di propagare sentimenti contrastanti unendo toni agrodolci e ironia alle tinte del dramma, dove il passato di Praetorius non fa che riportare sulla grande messa in scena dell’esistenza (e dinanzi al processo dalla mentalità ristretta) atteggiamenti anticonformisti protesi verso uno sguardo aperto. Quello che nel film ritroviamo con divertita leggerezza nei momenti in cui la commedia ritorna a giocare con gusto (la divertente sequenza dei trenini elettrici che vede coinvolti tre adulti), suggerendo tutto quel bisogno di affrontare diversamente la vita e scagliandosi provocatoriamente contro l’ottusità istituzionale che (più vistosamente) in quel periodo continua a schiacciare il pensiero libero coinvolgendo anche numerosi esponenti del cinema americano dell’epoca. Grant, il celebre gentiluomo di Hollywood, non era per nulla ligio al sistema, fu sovente in conflitto con l’Academy e solidarizzò apertamente con Chaplin quando il grande attore e regista fu messo sotto accusa dalla commissione del senatore Joseph McCarthy. La sua vena inquieta si sposava con una delicatezza interiore che un film come La gente mormora permette di riscoprire in una chiave di protesta e rivendicazione. Quella dalla parte di un pensiero non repressivo ma disposto a rimanere incantato da un incontro, da una nuova nascita, da un commercio (alla fine si scopre che Praetorius aveva una sua bottega) funzionale a una prospettiva di comunità in cui ci sia posto per i giovani, per le nuove idee e per la vita nuova che verrà.

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Roberto Lasagna

Saggista e critico cinematografico, ha scritto numerosi libri, tra cui "Martin Scorsese" (Gremese, 1998), "America perduta. I film di Michael Cimino" (Falsopiano, 1998), "Lars Von Trier" (Gremese, 2003), "Walt Disney. Una storia del cinema" (Falsopiano, 2011), "Il mondo di Kubrick. Cinema, estetica, filosofia" (Mimesis, 2015), "2001: Odissea nello spazio di Stanley Kubrick" (Gremese, 2018), "Anestesia di solitudini. Il Cinema di Yorgos Lanthimos" (Mimesis, 2019), "Nanni Moretti. Il cinema come cura" (Mimesis, 2021), "David Cronenberg. Estetica delle mutazioni" (con R. Salvagnini, M. Benvegnù, B. Pallavidino, Weirdbook, 2022), "Steven Spielberg. Tutto il grande cinema" (Weirdbook, 2022), "Ken Loach. Il cinema come lotta e testimonianza" (Falsopiano, 2024).

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