Questa volta si tratta di una piccola riflessione a metà tra il cinema e l’essere umano, di quello che può essere il rapporto tra i due ed il confronto sbagliato che a volte può sussistere.
Partiamo però dall’inizio…
Quest’anno Hollywood ha deciso di puntare moltissimo sulle storie vere, con buoni film che si sono meritati, se non l’oscar, sicuramente la candidatura (e quindi un certo riconoscimento da parte della critica). Non che l’oscar sia indicativo di qualcosa, è l’esito di queste ultime premiazioni ne è la prova, ma anche tra il pubblico tutto l’effetto è stato esattamente quello desiderato.
American Hustle, The Wolf of Wall Street, Dallas Buyers Club e 12 Anni Schiavo l’hanno fatta da padrone non solo alle nomination ma anche nelle sale, dimostrandosi effettivamente i titoli più validi già a soli 3 mesi dall’inizio dell’anno.
Io nella mischia mi sento di mettere anche Monuments Men, sempre tratto da una storia vera e che ho trovato gradevole e d’intrattenimento. Non considerato affatto alle nomination e che, personalmente, ho preferito a 12 Anni Schiavo; non per il contenuto ovviamente, non sono certo paragonabili, ma per la realizzazione in sé.
Se tutti i film presi in considerazione possono vantare un buon ritmo e un perfetto adattamento della storia originale, per 12 Anni Schiavo questo non mi sento di poterlo dire. L’attore protagonista non è riuscito ad emozionarmi come avrebbe dovuto e scene troppo lunghe a discapito del ritmo narrativo e della comprensione della pellicola stessa.
E tuttavia, ogni volta che mi trovo davanti una storia vera, non posso fare a meno di chiedermi: cosa arriverà al pubblico di tutto questo?
Nulla da ridire su Dallas Buyers Club o su 12 Anni Schiavo, in cui si mettono in scena “solamente” due drammi e la forza di volontà di uomini che non si sono arresi. Film notevoli e di gran morale. Ma gli altri due?
La morale indubbiamente c’è, ma è più nascosta da una più forte dimostrazione di come sia riuscita “l’arte del sopravvivere”, di come, anche sbagliando pesantemente come i protagonisti, alla fine ci si riesce sempre a cavarsela e a tirarsi fuori dai guai.
Jordan Belfort ha rubato per anni i soldi degli americani, ha commesso le più becere oscenità cavandosela solo con tre anni di galera e avendo, infine, comunque la gloria che desiderava.
Lo stesso si può dire di Irving Rosenfeld, che riesce ad ingannare tutti fino alla fine solo a discapito della fine del suo matrimonio. Molto poco, considerando quello di cui è stato capace anche lui.
Certo, non è sicuramente il messaggio che i vari registi e sceneggiatori volevano far passare, ma il rischio esiste ed è concreto.
Un rischio che purtroppo esiste sempre più spesso di recente e che, per fare un esempio fine a sé stesso, e diventato realtà anche con l’interessante “Romanzo Criminale”, in cui l’interesse storico per il punto più buio del panorama italiano è diventato motivo di “esempio” per alcuni giovani.
E così…come possiamo pensare che questi giovani non possano prendere spunto anche da loro e inizino ad imbrogliare, mentire e commettere indecenze come loro, considerandole delle semplici bravate da cui poi potersi tirare fuori?
Un esempio molto pratico è quello della scena di “The Wolf of Wall Street” in cui lui ha prima assunto droghe e poi rimane cerebralmente paralizzato. Una scena di cui tutti intorno hanno riso fino alle lacrime, mentre io vedevo il dramma di un uomo che si è rovinato con le proprie mani a causa di “porcherie varie”.
E’ un’indifferenza che mi preoccupa, insomma, quella che lo spettatore sembra avere davanti a storie come queste e che forse dovrebbe far riflettere Hollywood sull’idea di rappresentare storie vere. Belle, sicuramente, ma a volte pericolose per chi le guarda.
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