17 gennaio 2013: esce in Italia “Django Unchained” e per molti appassionati l’attesa è ormai snervante. Per capire bene perché, dobbiamo tornare indietro di qualche anno, precisamente al 2007. Dopo Kill Bill 1 e 2, esce Grindhouse: a questo punto, in molti pensano che il talento, sempre notevole, di Tarantino sia destinato ad accartocciarsi su se stesso, tra citazioni, autocitazioni, personaggi macchiettistici e nostalgie d’altri tempi.
A conferma, arriva la notizia che Tarantino starebbe riadattando nientemeno che un film di guerra del nostro Enzo G. Castellari: a che scopo?
Poi esce “Bastardi senza gloria”. Dieci minuti di film e tutti i dubbi si sono dissolti, mentre cresce la consapevolezza di trovarsi davanti ad un vero capolavoro: di regia, di originalità visiva, di invenzioni narrative, di dialoghi incalzanti, di personaggi stimolanti, di attori al meglio del loro meglio?.
Così, arriviamo ad oggi: cosa c’è di più eccitante dell’attesa di veder confermata una prova come quella?
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Stavolta, il punto di partenza è il “Django” di Corbucci del 1966. Un film più violento, più esagerato, più visivamente assurdo rispetto agli altri spaghetti western dell’epoca, rimasto nell’immaginario collettivo per Franco Nero e il lento trascinare della bara sui titoli di testa.
Visto “Bastardi senza gloria”, sappiamo già che il film di Corbucci servirà a Tarantino solo come suggestione iniziale, sulla quale strutturare un mondo completamente a sé, come del resto altri autori degli anni ’60 avevano già fatto, utilizzando il nome di Django per film che niente, o poco, avevano a che fare con il capostipite.
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La storia del suo Django non è nemmeno stavolta fine a se stessa e il nervo scoperto da toccare è un tabù tutto americano: il periodo dello schiavismo. Django è infatti uno schiavo negli anni subito precedenti alla guerra civile. Nero. Incatenato ad altri schiavi, seminudo. Un reietto. Solo un personaggio altrettanto fuori da ogni logica, un cacciatore di taglie, può provare a restituirgli ciò che la società dei suoi tempi gli ha tolto: la dignità, la famiglia, la possibilità di accedere al neonato sogno americano. Temi banali forse per un europeo, ancora attuali in quegli Stati Uniti dove il colore della pelle è ancora un elemento di scontro.
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Il cast? molto, molto ampio. Solo per citare alcuni, Leonardo di Caprio nei panni dello schiavista bianco senza scrupoli, Jamie Foxx in quelli di Django, Christoph Waltz (grande scoperta di Tarantino) nel deus ex machina che libera lo schiavo in un do ut des micidiale. E Samuel Jackson, Kerry Washington, oltre ad un cameo del primo Django, Franco Nero.
La colonna sonora, già annunciata, è un inno al cinema italiano di genere. Oltre ad un pezzo inedito di Elisa e Morricone, troviamo tre pezzi d’annata di Morricone, Bacalov (sua la colonna sonora del Django originale, catanta da Rocky Roberts), Franco Micalizzi con la titletrack di “Lo Chiamavano Trinità” (passerà sui titoli di coda) e Riz Ortolani. Ecco la tracklist completa:
1. Winged
2. Django – Luis Bacalov & Rocky Roberts
3. The Braying Mule – Ennio Morricone
4. In the Case Django, After You…
5. Lo chiamavano King (His Name Is King) – Luis Bacalov & Edda Dell’Orso
6. Freedom – Anthony Hamilton
7. Five-Thousand-Dollar Nigga’s and Gummy Mouth Bitches
8. La corsa – Luis Bacalov
9. Sneaky Schultz and the Demise of Sharp
10. I Got a Name – Jim Croce
11. I giorni dell’ira – Riz Ortolani
12. 100 Black Coffins – Rick Ross
13. Nicaragua – Jerry Goldsmith & Pat Metheny
14. Hildi’s Hot Box –
15. Sister Sara’s Theme – Ennio Morricone
16. Ancora qui – Elisa & Ennio Morricone
17. Unchained (The Payback / Untouchable) – James Brown & 2Pac
18. Who Did That to You? – John Lrgend
19. Too Old to Die Young – Brother Dege
20. Stephen the Poker Player
21. Un monumento – Ennio Morricone
22. Six Shots Two Guns
23. Trinity (Titoli) – Annibale e i cantori moderni
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Con la sua opera, Tarantino continua a rendere un servizio impagabile al cinema italiano. Peccato che non si riesca a raccoglierne i frutti anche con le nuove produzioni del nostro cinema, che sembrano aver abbandonato per sempre il cinema di genere, senza tener conto dell’importanza che questo mezzo ha rivestito anche per trattare temi importanti: basti pensare ai western di Leone e Damiani. E allora, in attesa di una riscossa dei nostri autori che ancora non compare all’orizzonte, non ci resta che sperare che Tarantino sia artisticamente longevo quanto Manoel de Oliveira (ndr il regista portoghese classe 1908 ancora sul pezzo).
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