Il 13 maggio di quest’anno è uscito il secondo album postumo di Michael Jackson.
A quasi cinque anni dalla sua morte, quando si sente parlare di questo artista le notizie riguardano quasi esclusivamente le misteriose circostanze in cui è venuto a mancare, le discussioni sull’eredità e gossip sui suoi interventi di chirurgia estetica.
E questo è quasi un’offesa ad un’artista che ha condizionato non solo il mondo musicale, ma anche quello della danza (lui ha creato il celebre movimento antigravitazionale del video di “Smooth Criminal”).
La sua creatività è stata tale da produrre un secondo album ad anni dalla morte , che riprende alcuni pezzi scartati in precedenza dallo stesso Jackson e li mette insieme grazie ad un ottimo lavoro di mixaggio ad opera di Timbaland, rapper e produttore discografico statunitense.
L’album si apre con Love never felt so good: un pezzo già suonatissimo dalle radio, in cui I frammenti di genio di Michael Jackson vengono esaltati da Justin Timberlake, il cui tono di voce si fonde alla perfezione con quello di Jackson.
Il secondo pezzo è Chicago: un sound lento, rilassante con venature di soul. La voce di Jackson è perfetta.
Segue Loving you, una ballata sentita in cui la voce dell’artista si esprime al meglio. Un pezzo attuale, nonostante sia stato concepito a fine anni 90 (indubbiamente c’è un ottimo lavoro di mixaggio).
Un’interessante base elettronica è il cuore di A place with no name. Anche qui la voce di Jackson fa la differenza.
Slave to the rhythm ,scritta da Babyface nel lontano 1991, è un pezzo dance che sfrutta appieno le sonorità di Jackson e il mixaggio.
Un pezzo interamente scritto da Jackson è Do you know where your children are: in questo brano viene affrontato un tema delicato: abusi sessuali da parte di un padre sulla figlia. Ottima fusione tra il sound , la voce di Jackson e l’argomento trattato.
Penultimo pezzo dell’album, Blue gangsta presenta una base ritmica tipicamente R&B. Realizzata nel 1983, è stata sapientemente “rieditata” per renderla attuale. E il risultato è buono.
Chiude il cd Xscape, che da il titolo all’album. Ascoltandola ho pensato in parte a Bad e In the closet. Anche qui il tema affrontato è delicato e molto caro all’artista: l’invadenza dei media, e la voglia di scappare via da una realtà superficiale in cui si sente intrappolato.
L’album merita rispetto per il grande lavoro fatto da Michael Jackson: tutti i brani infatti nascono da sue idee, non inserite in altri lavori per una precisa scelta. Ed è proprio questo che forse rende l’album interessante ma complessivamente slegato: non è stato Jackson a metterlo insieme e probabilmente non l’avrebbe fatto.
Non perché non ritenesse i pezzi validi, ma perché non li aveva concepiti per un singolo album.
Quello che sembra un difetto è paradossalmente anche un pregio: in questo album troviamo sonorità di Thriller, Bad e Dangerous in un solo lavoro. Purtroppo Michael Jackson non c’è più e con lui se n’è andato il suo estro creativo.
L’album ha conquistato i primi posti nelle classifiche in Europa e in America.
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