Gli americani Kickstarter e Indiegogo, il francese MyShowMustGoOn, ma anche gli italianissimi Kapipal e Eppela. Siti di crowd funding, che organizzano il finanziamento dal basso di iniziative di ogni sorta: tra di queste, potevano mancare progetti cinematografici, visto il difficile momento delle piccole/medie produzioni italiane? Naturalmente no: progetti se ne trovano molti e se si ha la pazienza di cercare, se ne trovano anche di grande qualità.
Come quello che sta preparando Giuseppe Sansonna, autore di cortometraggi e documentari, fra cui, oltre al fortunato Zemanlandia su Zdenek Zeman, Frammenti di Nairobi (su una bidonville kenyana), A perdifiato (su Michele Lacerenza, il trombettista dei western di Sergio Leone) e Lo sceicco di Castellaneta (sul mito di Rodolfo Valentino).
Sansonna presenta sul portale Eppela (https://www.eppela.com/ita/projects/277/ultimo-giro) un progetto di cortometraggio, chiedendo al grande pubblico un contributo per la sua realizzazione. Si tratta di “Ultimo giro”, storia di Armandino, truffatore giunto alla fine di una carriera costruita con il gioco delle tre carte e tutte le sue varianti.
[youtube https://www.youtube.com/watch?v=kDCWd4Lu-Qc&w=640&h=360]
L’ho intervistato per capire meglio come è nata questa storia e come intende realizzarla (le riprese sono previste a primavera 2013).
Di solito, personaggi del mestiere di Armandino sono restii a raccontarsi: c’è qualcosa in particolare che lo ha convinto?
Conosco Armandino da una vita. E’ una sorta di strano amico di famiglia, intimo di mio zio, storico barbiere del rione San Salvario di Torino a due passi da Porta Nuova.
Armandino ha sempre avuto una vocazione all’autorappresentazione, a narrarsi, ad esaltare le proprie gesta. Il salone di mio zio è sempre stato il suo palcoscenico preferito. Convincerlo a mettersi in scena, viste le premesse, non è stato difficilissimo. Anni fa lo ripresi in una lunga intervista video. Quarantacinque minuti a camera fissa, eppure reggeva, tanto era la sua forza esplosiva, la sua fotogenia, il suo eloquio ipnotico. Oggi tento un’operazione diversa: fargli intepretare un ruolo attoriale, per quanto molto simile alla sua vita reeale.
Cosa risponderesti a chi potrebbe criticare la scelta di realizzare un documentario su un truffatore, quasi come fosse un riconoscimento alla sua particolare carriera?
Questo film non vuole essere l’elogio della simpatica canaglia. Avrà un retrogusto molto amaro, sulla solitudine a cui conduce essere un reietto della società. Quello che mi preme è la sua complessità, le sfaccettature di uno o che ha sempre truffato il prossimo, ma che aborrisce la violenza. Ad esempio, nel cortometraggio racconto un suo scrupolo di coscienza, davanti a una vittima in piena estasi mistica, venuta a Torino per vedere la Sindone. E’ un episodio vero, desunto dalla sua vita. Mi interessa Armandino anche perché, a modo suo, coi suoi strumenti minimi da sottoproletario pasoliniano, si è sottratto alla rutilante catena di montaggio del boom economico. Quando parla della Fiat, dove fu assunto come operaio, la definì un “forno crepatorio”. Uno strafalcione paradossale, che genera un neologismo geniale, alla Gadda. Armandino poi a diciott’anni era un analfabeta. Ha imparato a leggere da solo, sillabando i giornali scandalistici, quando ha capito che per vivere e per truffare, bisogna “parlar bene”. Conserva modi da dandy, è capace di gesti di grande generosità, è pieno di dubbi sulla vita, di cui ha sempre voglia di parlare.
Una parte del budget del cortometraggio dovrebbe venire dal crowdfunding tramite il portale Eppela.com, un mezzo dalle molte potenzialità ancora inespresse: con poche parole, cosa diresti all’uomo della strada per convincerlo a partecipare al progetto?
All’uomo della strada direi che con “Ultimo giro” si narra la vicenda di un uomoo autentico, strappando la patina da fiction in cui è precipitato molto cinema italiano, fatte le debite e solite eccezioni. Questo cortometraggio è un numero unico, una piccola impresa. Sostenerlo può essere l’unico modo di fargli vedere la luce, in un contesto produttivo sempre più asfittico.
Immagino che con un personaggio come Armandino sia impossibile blindare una sceneggiatura: quanta improvvisazione gli sarà concessa durante le riprese?
Armandino sarà attorniato da attori di razza, capaci di interagire con le sue improvvisazioni. Lui è abituato a calibrare il proprio repertorio sulle reazioni della vittima, che conduce al bancomat a ritirare altri soldi, fomentandone l’illusione di recuperare quelli che ha già perso. In questo tragitto fino al bancomat Armandino esibisce un repertorio consumato, adattabile alle circostanze, alla professione e alle attitudini della vittima. Il testo che ho scritto è ispirato al repertorio che sciorina da sempre.
Restando in tema di tecnica cinematografica, quale cifra stilistica dei tuoi lavori precedenti credi che i tuoi spettatori ritroveranno in questo cortometraggio?
In “Ultimo giro” userò il bianco e nero inchiostrato e la misura geometrica da noir francese, alla Melville. Una scelta di colore che ho già impiegato nelle parti filmiche de “Lo sceicco di Castellaneta”. Nessuna camera a mano, molti carrelli e camere fisse. Inquadrature lunghe, che lascino il tempo alla realtà di rivelarsi. C’è una sequenza che ho girato e che amo particolarmente. Cinematografica, anche se è uno squarcio di realtà. E’ il piano sequenza che, in “Zemanlandia”, riprende la vita della panchina con Zeman circondato dal suo esagitato Sancho Panza foggiano, Franco Altamura. I contrasti, le reazioni opposte, la pulizia composta dell’immagine: in “Ultimo giro” si rivedranno situazioni simili.
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