Con l’arrivo dei VOD siamo letteralmente sommersi da serie tv e show – spesso e volentieri, ahimè, di dubbia qualità e semplici “tappabuchi” / “rimpiazzi” che servono solamente ad ampliare la scelta e a “far numero”, in un database di offerte e contenuti che non sarebbero mai nati, altrimenti. È il caso di Designated Survivor, serie nel pacchetto Netflix Italia, che narra le “gesta” di un uomo di basso rango politico costretto a vestire i panni di Presidente degli Stati Uniti d’America – a seguito di un attentato. E chi, se non l’ex Jack Bauer di 24, Kiefer Sutherland, per interpretare un personaggio “controverso” e dalle mille sfaccettature (leggasi con un non poi tanto velato sarcasmo. Scoprirete a breve perché.)? A metà strada tra House of Cards, Boss e tutto il filone fantapolitico che da un po’ di tempo a questa parte, nutre il piccolo ed il grande schermo, la serie conta, per ora, una stagione ed è classificata come thriller, anche se può contare su alcuni momenti – forse non voluti – di “grande” impatto ironico (non in stile The Brink ma diciamo che non siamo poi troppo distanti. Purtroppo.).
La trama: Tony Kirkman (Kiefer Sutherland – 24, Stand By Me, Crazy Moon, The Vanishing, Codice d’onore, I tre moschettieri, Ring of fire, In linea con l’assassino, The sentinel, Melancholia, Touch) sembra non essere fatto per la politica: di natura gentile, ha conati di vomito per la tensione, si fa scrupoli, ascolta la moglie, abbraccia le persone, rifiuta la tortura e non mette a rischio la vita dei suoi uomini. Uno show dunque, forse un po’ irreale e buonista, dall’impianto vecchio, anche per gli standard ABC – e che forse cozza decisamente con i propositi di Netflix di innovazione, anche a livello di distribuzione – in cui un mix di elementi spy e drama cercano un equilibrio che a stento raggiungono, focalizzandosi su topic come la privacy e la responsabilità di certa politica estera, dominata o comunque veicolata dagli USA ed in cui il dialogo vince sempre sulla forza bruta. Si parla non di retorica, a detta dei produttori e degli autori (David Guggenheim – Safe House, Stolen), ma bensì di «ritorno ai grandi valori americani», alla rettitudine morale ed al coraggio di assumersi le proprie responsabilità. In alcuni episodi la macchina costruita sembra funzionare, ed il ritmo e la tensione si percepiscono, ma una recitazione a tratti sopra le righe e condita da tic, parole sbiascicate, scuotimenti di capo ed espressioni facciali perplesse o titubanti a raffica di Sutherland Jr, affogano lo spettatore in un oceano di ricordi: la mente va a 24, in cui Bauer (Sutherland) era si, il braccio “armato” e “senza” regole a stelle e strisce, ma dove la suspence del ticchettio dell’orologio che scandiva la puntata, dava un senso a 2 ore di trasmissione. Serie, questa Designated Survivor, consigliata agli appassionati del genere fantapolitico, coscienti, però, di avere a che fare con un prodotto che spesso e volentieri latita e “sragiona”, perdendo il filo della matassa.
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