La vita invisibile di Eurídice Gusmão è probabilmente il più bel racconto sulla condizione femminile che mai il cinema abbia fatto. Autore di questo ritratto, che parte da Rio de Janeiro nel 1950 ed arriva più o meno ai nostri giorni, è un uomo, il regista brasiliano Karim Aïnouz, al suo settimo film. I suoi lavori precedenti, difformi per tematica e stile sono tutti passati per Cannes, Venezia o Berlino. La Vita Invisibile di Eurídice Gusmão è tratto dal romanzo latinoamericano della scrittrice Martha Batalha, dal quale però il regista non prende tutto per seguire una sua visione.
Aïnouz, come dice lui stesso, “non ha paura di essere sentimentale”. Ed infatti il suo ultimo film spinge l’acceleratore sulle emozioni senza alcun freno, ma il crudo realismo e la mancanza di sentimentalismi gratuiti, rendono credibile ed accettabile una trama che nulla invidia ad una telenovela.
Euridice (Carol Duarte) e Guida (Júlia Stockler) sono due sorelle, diverse sia nel fisico che nel carattere. Fortemente unite nella complicità e nell’affetto, si ritroveranno un giorno all’improvviso separate. Guida infatti, assetata di vita, conosce un marinaio greco e se ne innamora, fuggendo con lui nel cuore della notte e lasciando dietro di sé soltanto una lettera e un orecchino.
Euridice, pur essendo una pianista molto dotata, invece di dedicarsi a perfezionare il suo talento, durante l’assenza della sorella sposerà l’uomo che la famiglia le ha suggerito. Entrambe vivranno in attesa di potersi rivedere, completamente fuorviate sulla vita e sul destino dell’altra dal padre, che inventa bugie e nasconde lettere.
Infatti Guida non sposerà il bel marinaio, che invece l’ha abbandonata incinta, spingendola a una vita di lavoro e sacrifici e Euridice non andrà al conservatorio di Vienna per coronare il suo sogno di diventare una pianista affermata, dovendosi invece impegnare a sfornare figli e imparare ricette di cucina.
Ogni donna, soprattutto nel passato – ma anche oggi in realtà diverse dalla nostra e spesso tutt’altro che distanti – ha avuto una vita invisibile, quella che avrebbe desiderato vivere. Una vita segreta che è semplicemente il tentativo di perseguire i propri desideri e sogni, corrispondente al proprio carattere e alla propria natura. La vita invisibile di Euridice esiste solo nel pensiero e nelle speranze di colei che la ama, la sorella Guida.
Karim Aïnouz con precisione chirurgica ci pone di fronte ai due archetipi femminili costruiti dalla cultura dominante maschile: la santa (Euridice) e la puttana (Guida). Le due ragazze saranno stigmatizzate e schiacciate da una società fortemente maschilista in ruoli che non hanno scelto – e avranno un destino identico di sofferenza, pur se una (Guida) ha avuto la forza di ribellarsi e l’altra (Euridice) non ne ha avuto il coraggio, seguendo il destino che era stato tracciato per lei, come per ogni altra donna. Attraverso piccoli gesti e dettagli, che però appaiono fondamentali – come il fatto che la donna debba servire per primo a tavola sempre il capo famiglia maschio, o i rimproveri a una bambina che le intimano di stare ferma e composta, essere sempre graziosa ed educata – il regista ci fa il racconto di un’autentica schiavitù istituzionalizzata che parte dall’anima ed arriva ad impossessarsi, umiliare e dominare il corpo.
La scena della rozza deflorazione di Euridice, la mancanza di rispetto del ginecologo nei confronti di Guida, ci raccontano – come ogni donna sa benissimo – di un mondo che dice che il corpo femminile è un oggetto che non le appartiene interamente, un “bene” che non è davvero suo, ma è da manipolare, esaltare o mortificare e sempre utilizzare, dalla sua nascita fino al giorno della sua morte.
La vita invisibile di Eurídice Gusmão è una commovente storia d’amore: un’amore fra donne, sorelle nella carne o nell’affetto, solidali ed unite nel reciproco aiuto, perchè gli uomini del film – meschini, deboli, prepotenti e vili – fanno tutti una gran brutta figura.
Se il romanzo da cui è tratto il film immergeva la storia in una girandola di profumi e passioni, non priva di umorismo, e raccontava la piccola rivoluzione sociale delle due sorelle ribelli, il regista Karim Aïnouz fa un discorso di più ampio respiro e ben più cupo, sulla condizione della donna, sul quale resta ben poco da sorridere. La vita invisibile di Eurídice Gusmão è un film avvincente che stringe lo spettatore allo stomaco e lo trascina in un vortice di malinconia romantica, sogno e speranza, ovvero nella vita invisibile e segreta che tante donne – troppe – hanno sognato nel silenzio di un focolare, mortificate nelle loro doti, aspettative e speranze.
Girato con luci fredde eppure un abbondante uso di colori caldissimi ed avvolgenti, come un sangue rappreso e coagulato a cui il gelo circostante impedisce di sciogliersi, il film di Karim Aïnouz, premiato come miglior film al Festival di Cannes, è un racconto magistrale sulla condizione femminile da non perdere assolutamente, per capire, per riflettere, per piangere (difficile trattenersi sul finale) e forse anche per cambiare. Affinché la vita desiderata di ogni donna non rimanga soltanto un sogno invisibile.
- TITOLO ORIGINALE: A vida invisível de Eurídice Gusmão
- GENERE: Drammatico
- DATA USCITA: 12 settembre 2019
- REGIA: Karim Aïnouz
CAST: Carol Duarte, Júlia Stockler, Gregório Duvivier, Barbara Santos, Flávia Gusmão - SCENEGGIATURA: Murilo Hauser
- FOTOGRAFIA: Hélène Louvart
- MUSICHE: Benedikt Schiefer
- PRODUZIONE: Canal Brasil, Pola Pandora Filmproduktions, RT Features
- ANNO: 2019
PAESE: Brasile
DURATA: 139′
Distribuzione: Officine UBU
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