Dopo aver visto l’ultima inquadratura de L’apparenza delle cose, il thriller soprannaturale Netflix per la regia di Shari Springer Berman e Robert Pulcini, inevitabilmente il pensiero corre al romanzo omonimo di Elizabeth Brundage, da cui è tratto e a quanto quest’ultimo non possa che essere migliore del film.
L’apparenza delle cose infatti ha molte frecce al suo arco, a partire dalla splendida fotografia di ispirazione pittorica, la presenza di Murrey Abraham e il fatto che il titolo originale derivi da un libro del filosofo e spiritista del 700 Emanuel Swedenborg, la cui filosofia aveva tra i suoi capisaldi l’assunto che tutto nel mondo naturale ha un equivalente in quello spirituale e che la morte non sia la fine, ma un nuovo inizio.
E’ innegabile che tutta la prima parte, pur seguendo la strada apparentemente non originalissima – coppia che si trasferisce nella nuova e magnifica casa stregata – sia avvincente, grazie a svariati personaggi ed elementi all’apparenza suggestivi. Ma l’apparenza delle cose può ingannare, parafrasando il titolo. Infatti se è vera la regola letteraria che una pistola che è presente all’inizio di un romanzo, prima o poi sparerà, qui invece la pistola viene proprio dimenticata. Fra i tanti spunti messi in piedi, la maggioranza finisce in un vicolo cieco e i fuochi di questi preparativi pirotencici, si estinguono in un piccolo pluf, poco sonoro.
E’ evidente che i registi non siano riusciti ad eliminare o a dare un senso agli elementi che nel romanzo avevano un signifcato ed un seguito, e si siano limitati ad affastellare persone e cose – tutte ben inquadrate, c’è da ammettere – cercando inutilmente di includerle in una trama che alla resa dei conti appare scontata e che lascia solo una vaga impressione di quel che potevano essere le intenzioni della scrittrice.
La coppia di belli e biondi (Amanda Seyfried e James Norton) con bimba altrettanto geneticamente fortunata, va a vivere nel nord degli States, in una di quelle casette isolate immerse nella natura incontaminata, con vicini di casa segreto-muniti, che tanto hanno ispirato i film del terrore. L’inizio ricorda stranamente “La donna perfetta”, romanzo di Ira Levin con la protagonista di talento che rinuncia a vita sociale e carriera pur di soddisfare il marito, e che poi passerà giornate tediose a sistemare casa ed accudire la prole, mentre quest’ultimo si sollazza di successi lavorativi, trascorrendo sempre più tempo fuori. In questo caso però, la mira non è il risveglio di una coscienza femminista, bensì esoterica.
La protagonista soffre di disturbi alimentari ed ha una madre che non le infonde autostima, ma la cosa non deve preouccupare perchè è del tutto senza senso nella storia. Quel che conta è che al mondo esistano forze soprannaturali, apparenze non facilmente visibili, che però sono strettamente connesse al mondo dei vivi e ne influenzano le azioni. Infatti la spettrale apparizione di una donna inizia a funestare le notti di mamma e bambina. Queste presenze possono essere buone o malvagie, a seconda di chi le recepisce. In certi casi, come quello della signora che precedentemente aveva abitato la casa, sono angeli custodi perfettamente inutili, che dopo aver spaventato, regalato anelli, sbattuto porte e scioccanto infanti, nel momento in cui dovrebbero essere di aiuto alla protagonista, non lo fanno. Di fronte a questo thriller dalle meste velleità trascendentali, come rimpiangiamo l’efficacia de Le Verità Nascoste di Robert Zemeckis!
Alla fine il messaggio che ci arriva è che i buoni sono buoni, i cattivi sono cattivi e non si regalano sciarpe fatte a mano alla propria amante. Spendida fotografia, paesaggi mozzafiato, qualche brivido sulla schiena, per 121 minuti che potevano essere impiegati in un modo migliore.
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