L’abuso su un bambino non è orientamento sessuale né perversione, bensì un crimine violento che porta danni irreversibili nel minore che lo subisce, segnandone, in vari modi e per sempre, la vita. La consapevolezza e l’elaborazione di questa violenza può avvenire anche dopo diverse decadi, poiché il bambino, pur avendo comportamenti fortemente condizionati, è portato alla rimozione del male subito, arrivando perfino a farsene carico, sentendosi colpevole.
E se il pedofilo fosse proprio un prete, il cui compito nello specifico è prendersi cura dei piccoli, accompagnarli nei campeggi scout, insegnare loro preghiere e Vangelo?
Ad occuparsi di raccontare la storia vera di Padre Preynat, malato di pedofilia, che ha operato per decenni nella diocesi di Lione, è il regista francese più anticonformista, fantasioso, erotico e ribelle dei nostri tempi: François Ozon.
L’accuratezza narrativa, la coralità dei personaggi, che è come un’onda che si propaga lentamente dall’uno all’altro, il rispetto, la compassione e non ultima la rabbia che il regista mette in Grazie a Dio ne fanno un film mirabile che respira ben oltre gli avvenimenti della piccola provincia. Ad Ozon interessa raccontare il fatto e le sue conseguenze politiche, certo – Padre Preynat è stato incriminato nel 2016, il processo è ancora aperto e il 3 agosto del 2018 il limite della prescrizione di reato è stato portato da 20 a 30 anni – ma desidera soprattutto indagare le debolezze e le risorse del genere umano, che partono, un po’ tutte, dalla camera da letto.
Come testimonia la filmografia di Ozon, l’ipocrisia borghese, il perbenismo, la famiglia come teatro di orrori o di goffi tentativi di amore imperfetto, sono anche in Grazie a Dio i temi attraverso i quali si dipana la narrazione. In altre mani, una materia così delicata e sconvolgente, sarebbe diventata, ottimisticamente, un pamphlet da spezzare il fiato, e forse l’unica strada percorribile quella di un’onesta freddezza documentaristica, come era accaduto ne Il Caso Spotlight.
Ma Ozon riesce a trasformare quello che poteva essere un grido di dolore soffocato, in un inno alla speranza pieno di gioia di vivere, comunque e nonostante. Nonostante la diversa estrazione sociale delle vittime, nonostante la loro difformità psicologica, il diverso grado di abuso subito e la reazione dei genitori, spesso opposta, i bambini violentati fisicamente e psicologicamente a Lione nel corso di più di 30 anni, diventano uomini, nel momento in cui riconoscono la verità e vogliono andare fino in fondo ad essa.
Ognuno porta il suo carico. Melvil Poupaud è Alexandre, uomo realizzato e cattolicissimo dalla famiglia unita, che nel momento in cui scopre che il prete che lo aveva molestato da piccolo lavora ancora coi bambini, decide di agire. C’è François Debord (Denis Ménochet), anche lui padre di famiglia che all’inizio nega tutto e di punto in bianco come un vulcano in eruzione inizia a capitanare la squadra, senza più alcun timore di apparire in TV. C’è anche il fragile Emmanuel Thommasin (Swann Arlaud) di intelligenza e sensibilità fuori dalla media, che dalle violenze di padre Preynat ha riportato i danni peggiori, fisici e caratteriali e che pur claudicante nell’anima e nella vita, non si vuole arrendere.
Umanista generoso, il regista non dimentica neppure il genere femminile, ed inserisce il cameo della confessione di una violenza subita da bambina dalla moglie di una vittima.
“A che scopo rivangare quei vecchi fatti, ormai sono passati tanti anni, sarà caduto in prescrizione, non ci pensare più…ma sei sicuro di quello che dici?” sono le frasi più comuni da parte di amici e parenti che uccidono l’autostima e la la possibilità di superamento del trauma, per chi è stato oggetto di abusi. E invece gli anni non contano, il bambino che siamo stati rimane lì per sempre, e in cambio di pace vuole giustizia.
Ozon nomina spesso Dio, ma non dà risposte, lascia che ognuno trovi la propria. Non condanna una religione e tantomeno un’istituzione, condanna solo la menzogna e l’omissione. Richiede un’assunzione di responsabilità e ci mostra cosa è accaduto, quali conseguenze ci sono state e cosa potrebbe accadere ancora.
Padre Preynat, interpretato da un apparentemente costernato Bertrand Verley è un lupo mannaro che non riesce a controllare le sue trasformazioni, senza che nessuno gli opponga un proiettile d’argento. A farlo, sarà solo l’associazione La Parole Libérée, con oltre 70 vittime identificate.
Nel novembre del 2018 a Lourdes, a seguito di queste indagini, 118 vescovi francesi hanno votato l’istituzione di un comitato indipendente incaricato di indagare sulla pedofilia nella Chiesa a partire dal 1950. E la mancata comunicazione dell’abuso sui minori, solo da quel momento in poi, è considerata un reato ancora in corso.
Grazie a Dio è stato premiato con il Gran Premio della Giuria al Festival di Berlino.
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