Se siete alla ricerca di un horror spaventoso e inquietante ma raffinato e non banale, L’ombra della paura è quel che fa per voi.
Opera prima del regista iraniano Babak Anvari, presentato al Sundance 2016, ha avuto un tale successo di critica da guadagnare la distribuzione internazionale da parte di Netflix.
Nella Teheran degli anni ’80 in piena guerra con l’Iraq, Shideh (la bella Narges Rashidi) è una giovane mamma che, a causa del suo passato da militante, si vede seccamente negata la possibilità di riprendere gli studi in medicina. Frustrata, in un paese che alle donne concede meno che agli uomini, si ritroverà sola con la figlia Dorsa perchè il marito, medico, è incaricato di aiutare al fronte. La città si va gradualmente svuotando, la gente ha paura dei bombardamenti, e così anche il palazzo in cui abita Shideh, la quale, invece, nonostante le raccomandazioni del marito, non vuole saperne di lasciare casa. Neppure quando una bomba cade esattamente sopra la sua testa, incastrandosi nel soffitto del vicino del piano di sopra, e trasportando per via aerea, direttamente nella sua abitazione, un djinn, cioè uno spirito del vento.
Il djinn, spesso tradotto come genio (etimologia forse romana), è una creatura citata nel Corano, e indica, nella religione preislamica e in quella musulmana, un’entità soprannaturale, intermedia fra il mondo angelico e l’umanità, avente per lo più carattere maligno, la quale occupa gli anfratti, gli angoli vuoti delle case e in natura si muove insieme all’aria. È da notare, inoltre, come il termine stesso si avvicini foneticamente a Geenna: il luogo infuocato immaginato dall’ebraismo, ove le anime cattive rimarrebbero per l’eternità. Non per caso le tre grandi religioni monotestiste, quella ebraica, quella cristiana e quella islamica hanno radici comuni ed in comune hanno una pletora di presenze spirituali, demonianche o angeliche.
La figura folkroristica del djinn era già apparsa in Wishmaster – Il signore dei desideri di Robert Kurtzman, prodotto da Wes Craven.
Fatto sta che stavolta, in L’ombra della Paura, lo spirito, capace di mutare forma e aspetto e passare attraverso le crepe dei muri, si impossessi della bambola molto cara alla bambina, per poter così dominare e perseguitare a suo piacimento la piccola.
La struttura del film, ricco di tempi sospesi e suspance, è simile a quella dello spaventoso Babadook di Jennifer Kent. Una donna con un figlio piccolo si ritrovano da soli, in balia della paura e una presenza, come da tradizione esoterica, si insinua all’interno del nucleo familiare, già indebolito e problematico.
Il Male sulla terra, nel caso del film iraniano costituito dalla follia della guerra e di una società misogina, si somma a quello delle entità spirituali che vogliono portare via la bambina, chiudendo i protagonisti in un vicolo cieco. Quando Shideh riesce a fuggire, di notte, con la figlia in braccio, dalla casa infestata, viene arrestata dalla polizia locale perchè non indossa il velo. Uscirà dalla caserma solo all’alba, impietrita e sgomenta.
L’ombra della paura è un film efficace, ben strutturato e costruito che conta su interpreti talentuosi e credibili. L’originalità della storia rende la vicenda ancora più suggestiva ed avvincente.
Si può supporre che l’ostinazione della protagonista nel non abbandonare subito l’appartamento – salvo cercare disperatamente di farlo quando è già abbastanza tardi – sia la tenacia di una donna che si è già vista portare via tutto, la presenza del marito, la possibilità di carriera e di vita normale (che lei guidi la macchina è considerato inusuale e criticabile) e si accanisca a rimanere per ribadire la sua indipendenza. Il fatto che lo spirito metta lei e la figlia al muro ribadisce la potenza soverchiante delle forze del male, soprattutto quando il male ha il nome di burocrazia, guerra, politica e controllo sociale. I demoni di Oriente ed Occidente non solo hanno la stessa origine ma si assomigliano sempre di più.
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