“Il sangue è vita…” Non ha bisogno di presentazioni quello che, cinematograficamente parlando, viene definito horror, ma che dietro ad un appellativo che (senza ovviamente togliere nulla al genere), oserei definire in questo caso riduttivo, sprigiona la passione e l’amore incondizionato nel più vero significato del termine. Francis Ford Coppola ha tradotto con le sue immagini tutto il sentire più vero e profondo dell’anima ed ogni qualvolta che la sua cinepresa si sposta, lo fa con una leggerezza inaudita, coinvolgendo lo spettatore attivamente in ogni scena e avvolgendolo dentro ad una sensazione di gelido calore, trasportando gli stati emotivi dei protagonisti in esso.
Cieli vermigli in una Transilvania erotica e misteriosa, così come anche quelli londinesi, vengono rapiti in una fotografia senza tempo e accarezzati da una quasi dolce e piacevole nebbia; un gioco che confonde l’occhio di chi osserva, come Mr.Oldman fa con la mente della sua amata. La figura di Dracula o Nosferatu è stata sempre e costantemente dipinta come sanguinaria, facendola giudicare unicamente da un’unica prospettiva, quella del predatore maligno, la cui malvagità ha sempre occupato il centro della figura di Dracula, senza ulteriori varianti.
Bram Stocker con la sua penna e Coppola in seguito con il visivo hanno mostrato una natura diversa, fornendo una chiave di lettura che mette in discussione la ferocia e l’efferatezza della figura draculiana. Qui emergono tutta la tristezza, la passione, la nostalgia e l’amore. Un sentimento che supera la maschera del maligno e che viene corrisposto da chi sa vedere oltre, forse prendendosi gioco sottilmente anche di quei sentimenti socialmente accettati e dati per scontato. La perversione viene quasi percepita come meno artefatta, più pura e sincera, per assurdo più umana.
Wojciech Kilar con i suoi archi sonori, che accompagnano la visione, sono mani leggere che sospingono e inducono in tentazione lo spettatore verso una visione poetica e ipnotica della pellicola. Musiche che ben si allineano e a tratti contrastano con il nero di un vellutato buio che caratterizza gran parte degli sfondi scenici e sfiorano flebili fiammelle che partecipano complici al ricongiungimento di due anime ritrovate, quelle di Mina e Vlad.
La scelta di Coppola su Gary Oldman come protagonista in effetti è stata magistrale, se si pensa che in prima battuta la lista degli interpreti presentava (per citarne qualcuno): Alec Baldwin, Christian Slater, Hugh Grant e lo stesso Keanu Reeves scelto poi per vestire i panni di Jonathan Archer, marito di Mina. Ciò che colpì il regista e lo convinse sulla scelta di Oldman, furono gli occhi dell’attore, uno sguardo velato da una tristezza e profondità sovrannaturali e misteriose, che varcava i confini del tempo e lo resero perfetto per il personaggio.
Un cast stellare, che vede la presenza di Anthony Hopkins nel ruolo dello stimato Prof.Abraham Van Helsing e che conferisce alla pellicola quel bizzarro senso di inquietudine ed ironia; dal canto suo, Winona Rider, scelta per il ruolo di Mina, con la sua innata dolcezza ed innocenza, dà vita al suo personaggio rendendolo perfetto per incarnare l’amore del misterioso e dannato Conte.
Come recita il Principe Vlad Draculea di Sachait: ”Ho attraversato gli oceani del tempo per ritrovarti”. Allora Coppola traghetta l’opera di Stocker attraverso il tempo, destinata per il suo amore dannato e maestosamente poetico a restare indimenticabile per l’etetnità.
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