Trama: Toscana, secondo dopoguerra. Mara, giovane ragazza di campagna, fa la conoscenza di Bube, un partigiano che sta cercando il proprio posto nel mondo in seguito alla fine del conflitto. I due si vedono in incontri fugaci, ma si sentono ormai legati tra loro. Quando Bube rimane coinvolto in un delitto politico e si trova costretto alla fuga, Mara decide di seguirlo. Ma il ragazzo, aiutato dai compagni di partito, si nasconde all’estero e i due devono separarsi. Nell’attesa di aver notizie dell’amato, Mara fa amicizia con Stefano, un operaio, che le propone di sposarlo. La notizia dell’arresto di Bube e dell’imminente processo a suo carico rischia però di rimettere tutto in ballo.
“Dal romanzo Premio Strega 1960 di Carlo Cassola, il racconto di una formazione sociale e sentimentale di una ragazza toscana, Mara, nell’immediatissimo dopoguerra, che si innamora di un partigiano detto “Vendicatore”. Nelle pagine del libro, il personaggio di Mara manteneva una condizione esistenziale di importanza fondamentale, che ne esaltava il comportamento disilluso, l’atteggiamento candidamente maturo, le azioni tolleranti. È proprio Mara ad essere meglio trasportata dalle parole nella messinscena filmica, anche grazie a una Claudia Cardinale splendida (non doppiata), che sarà pure poco probabile come toscanella, ma si impegna molto e va a segno nel ritratto dolce e tenero della sua ragazza di Bube (il partigiano è il vigoroso George Chakiris).
Per il resto, Marcello Fondato trae una riduzione corretta e diligente del romanzo e Luigi Comencini dirige con sensibilità e partecipe distacco. Prende le parti (come già Cassola fece) di Mara, schierandosi contro i furori estremisti dei comunisti post-resistenza, realizzando al contempo un film profondamente antifascista, sia nello spirito che nell’allestimento. C’è chi ha contrapposto il qualunquismo di Comencini all’impegno di Cassola e chi s’è rammaricato che la materia del romanzo originario sia finita nelle mani di un regista “disimpegnato”. In realtà, in un impianto solidamente realista – la fa da padrone un paesaggio contadinesco, selvaggiamente postbellico e pre-pasoliniano, fotografato benissimo – la storia di formazione di Mara può essere vista come una metafora dell’Italia, o degli italiani, che maturano la convinzione di dover restare fedeli a un ideale, nel caso specifico quello comunista, tralasciando il riformismo socialista e le sue seduzioni borghesi. Molte scene sono da ricordare (merito, spesso e volentieri, della potenza vigorosa e giovane della Cardinale), ma forse le più struggenti sono i vari addii con Bube e l’epilogo, sette anni dopo la fine del flashback, dove avviene l’incontro con un uomo che avrebbe potuto essere il compagno di una vita. Ecco, l’epilogo è amaro per molte ragioni, sia sentimentali, che politiche, ma anche malinconiche” (Luca Biscontini)
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