Siamo in Slovenia nel periodo della pandemia e Maja, una psicologa appena divorziata, si trasferisce dalla capitale in una piccola cittadina di provincia insieme al figlio di 14 anni, Jan.
Il regista e scrittore sloveno Nejc Gazvoda (Izlet, A Trip) porta nelle sale la sua ultima opera, Role Model, che racconta, non senza ironia, il fiasco delle istituzioni scolastiche e familiari nell’essere di supporto agli adolescenti, che restano invece sbandati e privi di punti di riferimento. I ruoli si ribaltano, e se gli adulti sono pieni di parole vuote e retoriche, in vana competizione tra loro, sarà compito dei figli, almeno di quelli che ce la fanno, prendersi responsabilità e carico della loro vita e di quella dei genitori. Forse è questo il nuovo modo di diventare adulti?
Ne sa qualcosa Jan, ragazzo sensibile e studioso, che affronta l’ingresso in un nuovo liceo. Mentre quest’ultima, come psicologa della scuola, si occupa di Jacob, un compagno di classe di Jan con tendenze suicide, non si accorge che le relazioni tra pari sono regolate dal bullismo e che, come ultimo arrivato, proprio suo figlio sta per prendere il posto del più tartassato della classe, Jacob. Non vede neppure il rapporto che il figlio ha allacciato col vicino di casa, un instabile pazzoide che lei stessa non è in grado di gestire, finendo con l’andarci a letto in un momento di ebbrezza.
Se Maja è una madre affettuosa ma troppo presa dalla fatica di tenersi a galla per poter vedere e gestire anche il figlio, anche l’aspirante suicida Jacob è vittima di una madre iperprotettiva e invadente.
Il regista ci mostra consigli di classe, team di psicologi, che parlano di problemi ai quali si mostrano invece del tutto ciechi, assorbiti dal proprio ego, dalle personali frustrazioni, da una indipendenza che diventa solitudine, priva di una solida rete sociale.
Maja si sforza di essere impeccabile e competente, nascondendo complessi di inferiorità e alcolismo e si ritrova in un ambiente istituzionale che, come lei, privilegia l’apparenza alla sostanza. Se questo è il mondo degli adulti, che non può essere di esempio, quello dei ragazzi è ancora peggiore. Non possono mostrare debolezze di nessun tipo, perchè saranno ridicolizzati e presi di mira dai loro coetanei, che scelgono a turno una vittima per renderla oggetto di umiliazioni ed angherie.
Role Model, come da titolo, ci rivela la distanza tra le nostre identità, fatte di debolezze inevitabili e il tentativo di aderire ad un ruolo senza imperfezioni, perchè, con ogni probabilità, siamo ripresi e registrati dalla fotocamera di un cellulare o da una diretta streaming. Dobbiamo mostrarci al meglio, nascondendo fragilità che, negate e represse, imbellettate di retorica e vacua competenza, alla fine emergono e rischiano di devastare, sia grandi che ragazzi.
Gazvoda usa un registro in apparenza leggero e ironico, che porta alla luce contraddizioni e ipocrisie, e quelle tragedie sfiorate alle quali diventa facile dare delle spiegazioni. Role Model è un ritratto emblematico della nostra società, distanziata e igienizzata, fatta di competizione e apparenza, nella quale tutto funziona ma nulla torna, e l’ultimo barlume di umanità è affidato al buon senso dei ragazzi egli affetti familiari, o almeno, a quel che ne rimane.
La freddezza dei colori della fotografia, che illustra un ambiente che è quasi un acquario, una continua arena da competizione per grandi e studenti, viene bilanciata dalla dolcezza dei volti e delle voci dei ragazzi, come a dire che se non tutto è perduto, sarà solo grazie a loro.
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