Melancholia – Recensione

Justine (Kirsten Dunst) si è appena sposata con Michael (Alexander Skarsgård) e insieme tentano di dar vita a quella che dovrebbe essere la festa per il loro matrimonio. La depressione sottesa di Justine non le permette di godere appieno della situazione, la costringe a porsi domande sulla scelta appena fatta e quindi sulla sua vita. Priva dell’appoggio dei genitori, Justine può contare sul sostegno della sorella Claire (Charlotte Gainsbourg), tentando di fare chiarezza su ciò che realmente vuole. Nel frattempo si sta avvicinando Melancholia, un pianeta prima nascosto dal sole ed ora in procinto di entrare in collisione con la terra.

Lars Von Trier tenta di rappresentare il concetto di paura da due punti di vista, attraverso immagini altamente evocative, esteticamente perfette e con l’aiuto della macchina da presa a spalla che permette allo spettatore di percepire la tensione, la fretta, l’irrequietudine delle protagoniste. La prima parte del film è incentrata totalmente su Justine, sulla depressione, sulla paura di vivere che la costringe a fare i conti con una realtà che la opprime e la trascina in una condizione mentale non più incentrata sul vivere, ma sul sopravvivere. La seconda parte mette in risalto invece la figura di Claire, il suo concetto di paura applicato al concetto di morte, qui intesa come la fine del mondo, causata appunto dalla possibile collisione della terra con Melancholia: entrambe devono prendere atto e accettare la propria condizione di creature inermi.

Lo stesso regista al Festival di Cannes ha illustrato il suo personale punto di vista: “Di fronte a una grande catastrofe, una persona infelice reagisce con molta più calma di una normale che, invece, tende a precipitare inevitabilmente nel panico”.

L’apocalisse secondo Von Trier, la punizione finale per l’uomo, troppo arrogante, preso da sé stesso e allo stesso tempo incapace di gestire le proprie paure.