Mancano ancora un paio di settimane al 5 ottobre ma la febbre di Blade Runner 2049 comincia a salire sia per i più che per i meno appassionati del film fantascientifico che ha rivoluzionato il cinema e l’intero genere sci-fi. Insieme a 15 minuti di footage esclusivo abbiamo avuto la possibilità di incontrare il regista Denis Villeneuve e l’attrice Sylvia Hoeks, protagonisti di un panel al termine dell’esclusiva anteprima.
Portare sul grande schermo, a 35 anni di distanza, un seguito di un caposaldo della cinematografia di genere come Blade Runner non è impresa da poco, anzi. Il lavoro di Denis Villeneuve rischia di essere un crocevia di una carriera già prestigiosa e decorata: Incendies, Prisoners, Enemy, Sicario e Arrival sono solo alcuni dei tanti lavori del regista di origini canadesi che può già vantare due candidature all’Oscar e ai Golden Globes. Villeneuve ha però le idee ben chiare sul suo ruolo:
Non ho accettato a cuor leggero questo compito – esordisce. Mi sono preso settimane e addirittura mesi prima di accettare, pur essendo consapevole del fatto che è impossibile stabilire come verrà accolto questo film. E’ un film completamente diverso dal suo predecessore ed in quanto tale non escludo che possa avere poco successo. Non mi sono però posto problemi perché ho girato questo film per il semplice amore che ho per il cinema. Blade Runner ha fatto nascere in me la voglia di dirigere, di fare quello che faccio oggi.
Cosa bisogna aspettarsi dal nuovo Blade Runner 2049? Cos’è davvero cambiato dal primo formidabile capitolo? Villeneuve ce lo spiega sottolineando l’evoluzione subita dall’universo narrativo iniziato da Ridley Scott – è un mondo in cui chi conosce il primo Blade Runner troverà un po’ diverso. Questo film in realtà mostra come le cose non siano andate per il verso giusto, con un clima che si è evoluto in maniera disastrosa e dove chi sopravvive lo fa in condizioni terribili. L’oceano si è alzato, la città si è dovuta proteggere. Il mondo di Blade Runner 2049 è in regressione, un ritorno all’analogico che evidenzia tutta la fragilità della tecnologia e del processo che ne consegue.
Villeneuve non lesina poi informazioni sugli aspetti tecnici, sul suo rapporto con la fotografia, con la scelta della palette cromatica e, infine, con la sempre discussa CGI. Il regista riconosce indubbiamente la forte impronta visiva data dal capostipite: Blade Runner è un film maestoso nel suo impatto con lo spettatore. Il primo film è stato, anche esteticamente parlando, un film che ha lasciato un segno nella cinematografia, con le sue atmosfere cupe, fumose. Abbiamo voluto creare qualche analogia con il primo film e ho deciso che avremmo cercato di riprodurre lo stesso tipo di ambiente, lo stesso quartiere di Los Angeles, un mondo che nel frattempo è peggiorato. L’analisi si sofferma anche sul clima, al centro di questa evoluzione – La principale differenza è la neve, fa più freddo. La qualità della luce è un qualcosa che mi ha sempre ispirato, cerco sempre di pensare ad essa quale punto di partenza nella mia ricerca visiva. Blade Runner 2049 è sì cupo, ma talvolta vi sono dei momenti più bianchi, più argentei, dati dalle luce del nord. L’inverno è al centro di questa scelta di sfumature e di colori. E’ molto raro per un regista lavorare in una situazione di controllo assoluto sul film. Ho lavorato con i colori in un modo totalmente nuovo per me, grazie anche ad un direttore della fotografia straordinario come Roger Deakins.
Tanta è anche l’attenzione all’uso degli effetti speciali. Villeneuve dichiara di odiare letteralmente il colore verde e di non essere dunque un fan sfegatato del green screen. Ovviamente quando fai un film futuristico come Blade Runner è chiaro che la CGI è molto importante – ci tiene a chiarire – ma fin dall’inizio ho messo in chiaro con la produzione che avrei potuto costruire tutti i set di scena. Ho rassicurato gli attori, davanti alle loro richieste, che avremmo costruito tutti gli scenari, tutti i veicoli, oltre dei miei sogni più sfrenati. Io sono veramente grato per aver potuto utilizzare cose vere, in una sorta di cinematografico ritorno alle origini del modo di fare film. Non sopporto il verde, preferisco lavorare con delle scene vere, anche se la CGI è inevitabile.
C’è spazio anche, ovviamente, per parlare di Ryan Gosling, protagonista attesissimo del film nel ruolo del misterioso Agente K.
Quando abbiamo inizialmente visto l’evoluzione della storia di Blade Runner Ridley Scott ha pensato subito a Gosling come protagonista. Ho trovato che l’Agente K fosse perfetto per Ryan e viceversa. L’ho chiamato e, non avendo egli mai fatto un film di questa portata, quando ha letto la sceneggiatura se ne è innamorato. Non ho avuto difficoltà a convincerlo nell’accettare, ha accettato spontaneamente. Il suo personaggio è diverso: solitario, protagonista di un thriller esistenziale che in realtà traccia una serie di tematiche. Non posso parlare di questo personaggio più di così.
Villeneuve lo ritiene perfetto per il ruolo, e spiega così il perché:
Io amo gli attori che non fanno gli attori. Amo coloro che sono il personaggio, che portano presenza, portano senso, senza nemmeno muoversi o battere ciglio. E’ un attore che ha il carisma necessario per realizzare questo obiettivo, ma al tempo stesso riesce ad esprimere delle sfumature emotive in maniera molto molto particolare. La risposta che do in genere è questa: è un’artista straordinario, un attore di enorme talento. Il film pesa sulle sue spalle, ed è proprio per questo che mi sono dovuto affidare a lui. Mi sono impegnato a scegliere tutto il cast e tutte le comparse, una ad una. E’ un po’ come un film d’epoca: non tutte le presenze sono giuste per un mondo come quello di Blade Runner.
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