Dopo aver girato due ottimi film negli anni ’70 (La rabbia giovane, I giorni del cielo) Terrence Malick, ormai in procinto di diventare uno dei più grandi cineasti della sua generazione, decise incredibilmente e misteriosamente di ritirarsi dal cinema isolandosi dal caos dello star system di Hollywood.
Quando a distanza di quasi 20 anni dalla sua ultima pellicola lo schivo regista americano decise nuovamente di dedicarsi alla settima arte (La sottile linea rossa, 1998), con lui tornò anche il suo personalissimo linguaggio filmico fatto di immagini suggestive, lunghi silenzi, profonde riflessioni: cinema per l’anima e lo spirito.
Giudicare in maniera esaustiva un film di Malick o comunque cercare di rendere per iscritto le sensazioni che le sue pellicole suscitano nell’animo dello spettatore è un’impresa pressoché impossibile, e To The Wonder (come ogni altro suo film) al di là del fatto che possa piacere o meno, è indubbiamente un’esperienza audio-visiva unica.
Marina (Olga Kurylenko) e Neil (Ben Affleck) dopo aver visitato Mont Saint Michel, in passato conosciuta come “La Meraviglia” (da cui il titolo del film To The Wonder), decidono di trasferirsi in Oklahoma, dove presto inizieranno i primi problemi per la coppia. Qui l’incontro di Marina con un prete in crisi di fede (Javier Bardem) e il ritrovato legame di Neil con un’amica d’infanzia (Rachel McAdams) fungeranno da punto di partenza ai vari personaggi per riflettere e fare un bilancio delle proprie vite.
Come già si è potuto vedere in passato però , il concetto di trama in Malick ha un concetto molto relativo, perché con il suo stile frammentario fatto di brevissime scene, dialoghi ridotti al minimo, costante voice over dei personaggi, i film risultano essere un flusso talvolta disconnesso di immagini, sensazioni, colori che spesso si distaccano da quel poco di storia che si riesce ad intuire inizialmente.
To The Wonder prende spunto dal particolare, in questo caso una coppia in crisi e un prete che lotta per la sua mancanza di fede, per raccontare l’universale ovvero il bisogno primario e viscerale, la ricerca costante e forse vana da parte dell’essere umano dell’Amore in qualsiasi forma esso lo si possa intendere, dall’Amore verso Dio, verso i propri figli, verso il proprio partner, verso uno sconosciuto.
Questa disperata ricerca di un Amore che ci circonda fin quasi a sovrastarci nella sua irraggiungibile e ineffabile perfezione, “contagia” l’essere umano e lo “infetta” facendogli anelare un sentimento che è destinato a non comprendere pienamente per colpa di una totale e inevitabile incomunicabilità tra gli uomini; nei vari monologhi interiori dei personaggi è evidente una mancanza, un senso di insoddisfazione e vuoto che vorrebbe essere riempito ma che per una “fisiologica” inadeguatezza, incapacità nello stabilire e mantenere un rapporto umano non potrà in alcun modo essere colmato, se non per brevi ma fugaci istanti.
Sin dalle prime scene si nota subito che Marina è pazza di Neil, di un amore profondo a tratti adolescenziale (“Andrò ovunque tu vorrai”), ma che pian piano inevitabilmente va scemando, spegnendosi lentamente come un fuoco in mancanza d’ossigeno; dall’altra parte troviamo Neil, un uomo estremamente silenzioso, impassibile e distaccato che, pur essendo innamorato, sembra reagire con freddezza alle attenzioni, alla gioia di Marina, come se fosse un automa incapace di esternare positivamente anche la più piccola emozione.
Se la coppia in crisi rappresenta l’Amore terreno, carnale e umano, il personaggio di padre Quintana con la sua “sete di fede”, i dubbi e le incertezze, rappresenta l’Amore spirituale e trascendentale, il bisogno di trovare Dio (“Per quanto tempo ancora intendi nasconderti?” dice Bardem) e riuscire a superare una crisi profonda che si riflette nella falsità con cui predica il Vangelo e porta avanti il suo ruolo di pastore della comunità.
Dare l’eucarestia, confessare i fedeli, parlare con i carcerati o i senza tetto per padre Quintana è diventata routine, un gesto senza il minimo significato portato avanti per inerzia, solo perché rientra nelle “mansioni” del sacerdote e non per un sentimento profondo e sincero di devozione a Dio.
L’incomunicabilità, il senso di non appartenenza al luogo in cui si vive è sottolineato in modo evidente dal fatto che il film è recitato in 4 lingue (inglese, francese, spagnolo e una breve scena in italiano recitata da Romina Mondello), quasi fossimo in una moderna Babele la cui torre (ovvero il bisogno di scoprire Dio, il riuscire finalmente e compiutamente ad amare)come recita l’episodio della Genesi, non potrà essere costruita e ultimata perché gli esseri umani non riescono più a capirsi a causa delle diverse lingue parlate.
Quest’ultimo lavoro di Terrence Malick si inserisce, come se fosse parte di un discorso troppo sconfinato per essere esaurito in un solo film, nel percorso già iniziato con The Tree of Life, condividendo con quest’ultimo il linguaggio, la maestosità delle scene e la volontà di dirigere pellicole sempre più astratte, spirituali, in cui la decostruzione del tradizionale modo di fare e intendere il cinema è un mezzo per cercare di comunicare ciò che non vogliamo o non possiamo essere in grado di comprendere.
Con To The Wonder Malick ci fornisce l’ennesimo tassello di quel puzzle impossibile da risolvere che è l’esistenza umana, centro e cuore pulsante del pensiero filosofico-cinematografico del regista americano: continueremo per sempre a farci delle domande, ma probabilmente rispondere è impossibile.
Scheda film
Titolo: To The Wonder
Regia: Terrence Malick
Cast: Ben Affleck, Olga Kurylenko, Rachel McAdams, Javier Bardem
Genere: Drammatico
Durata: 112’
Produzione: Redbud Pictures
Distribuzione: 01 Distribution
Nazione: USA
Uscita: 04/07/2013
Lascia un commento