Finito agli arresti domiciliari a seguito degli eventi accaduti in Captain America: Civil War, Scott Lang (Paul Rudd) cerca di riprendere le redini della sua vita concentrandosi sull’essere un buon padre ed evitando in ogni modo nuovi contatti con Hank Pym (Michael Douglas) e Hope Van Dyne (Evangeline Lilly). Quando però entrambi ricompaiono improvvisamente nella sua vita per riesumare una vicenda che sembrava ormai dimenticata, Ant-Man e la sua fida Wasp saranno costretti a risfoderare le loro tute per porre rimedio.
L’enorme successo di Ant-Man (2015), generato soprattutto dalla freschezza visiva e narrativa di un capitolo del Marvel Cinematic Universe particolarmente ispirato, non poteva non far pensare all’eventualità di un sequel. In Ant-Man and The Wasp, in arrivo il 14 agosto nelle sale italiane, a Paul Rudd si affianca in pianta stabile Evangeline Lilly, che nel primo capitolo era apparsa solo sporadicamente, per poter vestire il ruolo di contraltare action/comedyfemminile allo strapotere scenico di un Rudd in stato di grazia.
La vicenda, più intima e legata all’aspetto famigliare di Hank Pym, si snoda attraverso una duplice avventura che corre parallelamente sui binari della realtà e del caleidoscopico mondo quantico, dove lo stesso Hank si avventurerà. Le vicende di Ant-Man e The Wasp, invece, sono molto più legate ai canoni del cinema d’azione, con il classico alternarsi di inseguimenti, combattimenti e scene dai ritmi concitati e dal montaggio serrato.
Complessivamente, l’ambito tramistico fa fatica a coinvolgere come nel primo capitolo, dove l’aspetto “novità” e l’intenso sfruttamento a livello visivo dei poteri di Ant-Man avevano saputo davvero stupire. In Ant-Man and The Wasp l’intreccio scorre in maniera abbastanza piatta, intrattenendo con sufficienza senza mai azzardare trovate originali o innovative. Anche Ant-Man, dunque, va ad incardinarsi irrimediabilmente sugli arcinoti schemi Marvel basati sulla sempreverde formula azione-ironia, dove anche Rudd, ancora il trascinatore assoluto della pellicola, accusa un abbassamento generale della qualità narrativa (e scrittoria) del film. Poco offre invece Evangeline Lilly, relegata a mera figurante in costume in un ruolo subalterno e dimenticabile, quasi irrilevante sotto ogni aspetto. Promossa invece la vena comica di Michael Pena, nel personaggio di Luis, che spezza in modo divertente uno svolgimento altrimenti troppo piatto per essere coinvolgente.
Perso lo smalto che lo aveva reso celebre, l’Ant-Man tutto “lavoro e famiglia” è quanto di più lontano possa esserci dalla “novità” che ci si aspetta da un eroe sui generis. I pochi nuovi poteri, le poche nuove trovate partorite nello sviluppo di questo film denotano una povertà di idee che, irrimediabilmente, relegano un personaggio originale, fuori dai canoni e dissacrante nelle già affollate fila degli amorfi personaggio dell’universo Marvel.
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