Edoardo De Angelis torna dietro la cinepresa con Il vizio della speranza, un racconto disincantato che porta alla luce uno spaccato di realtà spesso dimenticato.
Maria è una ragazza come tante, a passo svelto e capelli spettinati trascorre le sue giornate in un porticciolo malfamato. Si prende cura di sua madre, e presta servizio a una donna senza scrupoli devota solo al Dio denaro. Per conto di questa megera, Martina impiega il suo tempo svolgendo un infame compito. La ragazza traghetta le donne incinte – più che altro prostitute – verso un punto di non ritorno. Martina è coinvolta in una sorta di tratta dei bambini, che una volta messi al mondo da queste donne dall’esistenza insignificante, vengono venduti a caro prezzo a donne abbienti e sterili. L’equilibrio di questo circolo vizioso di corruzione e meschinità viene brutalmente interrotto quando la ragazza scopre di essere incinta. Lei, che uno stupro subito da bambina ha reso sterile e inadatta a procreare, ha di fronte a sé due scelte: abortire, seguendo il consiglio del suo “capo”, o partorire con la consapevolezza di non vedere suo figlio crescere. Nonostante i neri pronostici, il seme di una ingiustificata speranza si insinua in Martina, che farà di tutto per sovvertire il suo destino malvagio.
Il vizio della speranza ha una trama complessa, che si snoda attorno a personaggi altrettanto articolati. I protagonisti sono disillusi, fin troppo realisti, contornati da una quotidianità che non lascia spazio ai sogni. Eppure lottano, contro il fato e il volere di coloro che abusano della libertà dei personaggi stessi. Non sempre riescono a vincere, eppure tentano invano di sovvertire i pronostici. Perché, come recita la frase a inizio film, la speranza è il vizio più difficile da togliersi.
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