Disponibile su RaiPlay Il Signor Diavolo, un film del 2019 diretto da Pupi Avati. È tratto dall’omonimo romanzo scritto sempre dal regista bolognese. Avati ha dichiarato che questo film, scritto insieme a suo figlio Tommaso Avati e al fratello Antonio Avati, segnerà il suo ritorno all’horror e di voler raccontare, ancora una volta, le storie di paura che un tempo erano protagoniste dei racconti narrati la sera accanto al fuoco nelle case di campagna. Il film ha vinto un Nastro d’Argento per il migliore soggetto (Pupi Avati, Antonio Avati e Tommaso Avati). Con Gabriel Lo Giudice, Filippo Franchini, Cesare S. Cremonini, Massimo Bonetti, Lino Capolicchio, Chiara Caselli, Gianni Cavina.
Trama
Autunno 1952. Nel nord est dell’Italia è in corso l’istruttoria di un processo sull’omicidio di un adolescente, considerato dalla fantasia popolare indemoniato. Furio Momentè, ispettore del Ministero, parte per Venezia leggendo i verbali degli interrogatori. Carlo, l’omicida, è un quattordicenne che ha per amico Paolino. La loro vita è serena fino all’arrivo di Emilio, un essere deforme figlio unico di una possidente terriera che avrebbe sbranato a morsi la sorellina. Paolino, per farsi bello, lo umilia pubblicamente suscitando la sua ira: Emilio, furioso, mette in mostra una dentatura da fiera. Durante la cerimonia delle Prime Comunioni, Paolino nel momento di ricevere l’ostia, viene spintonato da Emilio. La particola cade al suolo costringendo Paolino a pestarla. Di qui l’inizio di una serie di eventi sconvolgenti.
A più di ottant’anni, Pupi Avati torna a mettere in scena una storia sordida che trova nello sfondo di una provincia italiana ingenua (quella degli anni Cinquanta), e ancora intrisa di credenze popolari, terreno fertile in cui prendere corpo. Tratto dall’omonimo romanzo scritto dallo stesso regista, Il Signor Diavolo sintetizza intelligentemente una storia singolare e una collettiva, tracciando un itinerario umano, antropologico e politico in cui ci si può senza troppi sforzi rispecchiare. Si, perché la vicenda raccontata – sospesa tra esorcismi e animismo contadino – diventa il pretesto per articolare un discorso sui rapporti di potere e, al tempo stesso, per delineare il percorso di elaborazione di un passato scomodo che ancora non ha cessato di provocare un consistente disagio interiore (quello del protagonista, il funzionario del Ministero di Grazia e Giustizia Furio Momentè, interpretato dall’efficace e malinconico Gabriele Lo Giudice).
Pupi Avati, che con Antonio e Tommaso ha scritto la sceneggiatura, architetta un marchingegno efficace, riuscendo a tenersi sempre in equilibrio tra due registri, l’uno giustapposto all’altro, con grande misura, e in meno di novanta minuti trascina lo spettatore nel gorgo di un abisso da cui non si risale più. Il Signor Diavolo è – chi lo vedrà potrà sincerarsene – uno sprofondamento nel buio, un ritorno a un passato oscuro che non smette di ripresentarsi in forma di rimosso. Allora, l’unico modo per liberarsene è affrontarlo una volte per tutte, o almeno provarci.
Il film non inquieta certo per la vena orririfica, che pure non manca, quanto, piuttosto, per il suo indugiare nelle zone d’ombra, cercando di dar corpo a quell’immaginario sempre tenuto tenacemente fuori campo. Ma Avati non dà visibilità a ciò che normalmente non appare (operazione non necessaria e ingenua), ma segnala continuamente un qualcosa che, pur non acquisendo una forma, insiste drammaticamente, influenzando le vite dei personaggi e l’evolversi degli eventi. La fotografia plumbea di Cesare Bastelli, in questo senso, si rivela opportuna, virando su colori pastello, sempre molto contenuti, che ben restituiscono uno stato d’animo oppresso, una sensazione d’angoscia perenne che invade l’animo dello spettatore, il quale assiste al ricomporsi di un fitto mosaico fatto di tasselli del passato e del presente.
A donare un notevole valore aggiunto al film sono senz’altro i magnifici attori radunati per l’occasione: oltre ai protagonisti, Gabriele Lo Giudice e Carlo Mongiorgi, partecipano Massimo Bonetti, Gianni Cavina, Lino Capolicchio, Alessandro Haber e, soprattutto, la bravissima Chiara Caselli che, nel ruolo di una dark lady ante litteram, offre una prestazione eccellente (recitando meravigliosamente in dialetto veneto). È innegabile che, se non altro per l’ambientazione e la scelta del cast, Il Signor Diavolo può far tornare alla memoria il precedente (e indimenticabile) La casa dalle finestre che ridono, ma, a parte queste vaghe analogie, l’ultimo film di Avati è una storia a sé stante, che non può, a rigore, essere imparentata con l’altra pellicola.
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