Le Edizioni Falsopiano hanno da poco pubblicato un prezioso volume che raccoglie (a cura dei figli Mario e Alberto) una corposa parte degli scritti giovanili inediti di Guido Gerosa (1933 – 1999), racchiusi in un arco temporale che va dal 1949 al 1954 e che coincide con il suo esordio giornalistico sul quotidiano «La Provincia» e le prime collaborazioni professionali con «La Notte»: una selezione di scritti non commissionati ma concepiti in via del tutto autonoma per dare libero sfogo a una precoce passione per il cinema iniziata fin dall’adolescenza e che ha accompagnato e scandito i momenti cruciali della sua vita. Il titolo del libro – un titolo conciso, ma pregno di significati – è Rincorsa alle ombre. Scritti di cinema. Un secondo volume, che sarà distribuito nella primavera prossima, raccoglie invece saggi e articoli pubblicati da Guido Gerosa negli anni successivi su prestigiose riviste come «Cinema», «Bianco e Nero», «Schermi», «La Rassegna del Film».
Fiumano di nascita, oltre che collaboratore del giornale «La Notte» Gerosa è stato corrispondente americano e poi direttore di «Epoca» (intervistò tra gli altri Bob Kennedy e Martin Luther King), ha lavorato per il settimanale «L’Europeo» diretto da Enzo Biagi e per «Gente», è stato vicedirettore de «Il Giorno» fino al 1994. Ha raccontato con rigore la politica, le guerre, i fenomeni di costume, la storia. È stato autore di molti saggi e di biografie, come quelle di Carlo V, Luigi XIV, Napoleone Bonaparte, Benito Mussolini. Pur avendo scelto di non intraprendere la professione di critico cinematografico, non ha mai abbandonato la sua grande passione per il cinema. La sua era una visione a 360 gradi che abbracciava tutto il grande cinema, non solo quello dei maestri più celebrati: una visione che non lasciava in disparte nulla e che emerge chiaramente dai precoci scritti pubblicati da Falsopiano.
Il suo era un approccio privo di fastidiose altezzosità, mai pedante, che sembrava dialogare amabilmente con lo spettatore e con il film stesso, mostrando particolari finezze (pensiamo agli interessanti parallelismi tra inquadrature filmiche e storia dell’arte) che sono una chiara dimostrazione dello spessore intellettuale di un personaggio da riscoprire. Come sottolinea Roberto Lasagna nella prefazione, “Gerosa non si dedica a lapidarie sentenze, ma accoglie l’aspetto interessante, anche in un film meno riuscito”, aiutando il lettore a orientarsi con maggiore consapevolezza nel dedalo dei più svariati linguaggi filmici.
Il racconto di tanti film diventa romanzo del proprio tempo e, attraverso la modernità dello sguardo di Gerosa e la sua raffinatezza, rivivono titoli e autori del cinema italiano, francese, americano del secondo dopoguerra, ma anche il cinema degli anni Trenta e dei primi anni Quaranta esaminato col senno di poi. Innanzitutto rivive l’opera di John Ford (tra i film recensiti, Maria di Scozia, Uragano, Furore, I cavalieri del Nord-Ovest, Il massacro di Fort Apache, Bill sei grande !, Alba di gloria, Rio Bravo, Un uomo tranquillo, Mogambo), regista che ha sempre destato in Gerosa particolare interesse; un’opera ricchissima, ma analizzata nella consapevolezza che Ford “non è un poeta profondo, né quel che si dice un grande poeta: è piuttosto un fertile e denso di umori tra i narratori romantici, un artigiano di valore, che traccia con una certa facilità dei ritratti umani e nello svolgimento delle sue storie va un po’ alla grossa, con un gusto alla Walter Scott”. Rivive il primo Alessandro Blasetti con il film 1860. I Mille di Garibaldi (1934), realizzato in pieno regime ma che, nell’analisi fatta da Gerosa a distanza di quasi vent’anni, “occupa un posto a parte nella produzione, informe e retorica, del periodo fascista: del cinema di quel tempo esso rimane la gemma solitaria, frutta d’una distillazione accurata e geniale al tempo stesso”, rievocazione storica del Risorgimento vera, autentica, senza artifici, che Gerosa definì con evidente trasporto “respiro d’umanità, caldo afflato di poesia, slancio morale ed ideale: cose a cui l’ostentata grottesca teatralità dei tempi aveva disabituato”, “unica voce di sincera poesia, nel nostro cinema sonoro, prima del neorealismo”. Nelle lunga galleria di registi (Augusto Genina, Luigi Zampa, Vittorio De Sica, Roberto Rossellini, Marcel Carné, René Clair, King Vidor, Frank Capra, Billy Wilder, John Huston, per citarne solo alcuni) e film (da Mata Hari a Viva Zapata, da Roma città aperta a La lupa, da L’eterna illusione a Eva contro Eva, da Il bandito della Casbah a Napoletani a Milano), troviamo anche un interessante approfondimento su Charlie Chaplin, definito da Gerosa “il più grande umorista dello schermo” e accostato ad alcuni dei più grandi autori comici d’ogni tempo: Plauto, Terenzio, Molière, Goldoni. Oltre a soffermarsi sullo sguardo incantato e dolcissimo del suo Charlot, protagonista di alcune comiche riproposte in edizione sonorizzata all’inizio degli anni Cinquanta (La strada della paura, Accidenti alle rotelle, L’emigrante, Il conte, L’astuto commesso), Gerosa esaltava anche la favola di Monsieur Verdoux, lungometraggio uscito nel 1946 e denigrato da molti critici che per questo film accusarono Chaplin di immoralità e cinismo, e che invece il nostro paragonava – dimostrando ancora una volta la sua vocazione interdisciplinare – alla finezza dei grandi scrittori inglesi dell’Ottocento.
Accanto a entusiastiche recensioni, non mancano giudizi severi, come nel caso ad esempio di due film di Pietro Germi: Il cammino della speranza (1950), a proposito del quale Gerosa parlò di “povertà psicologica, sentimentalismo da filodrammatica ed una certa fatica narrativa esplicantesi ora in brani troppo prolissi ora in situazioni risolte troppo rapidamente e quasi oscure”, e Il brigante di Tacca del Lupo (1952), i cui personaggi e situazioni erano ritenuti “inconsistenti, vuoti, retorici”. Ma, come emerge chiaramente dalla lettura dei numerosi scritti raccolti in Rincorsa alle ombre, sia nel compiacimento che nella critica più severa Gerosa ha sempre dimostrato di possedere un gusto e una sensibilità non comuni, doti che secondo lui erano indispensabili per giudicare in maniera adeguata un film e che andavano costantemente educate. Divenuto giornalista di professione, illustrando le basi del corretto approccio nella visione di un film scrisse:
“In misura maggiore o minore, siamo tutti spettatori. Vediamo dei film di fronte ai quali le nostre reazioni sono fondamentalmente queste: ci interessiamo, ci commuoviamo, ci divertiamo, ci sdegniamo, rimaniamo indifferenti. Ognuno di essi suscita in noi reazioni, commenti, giudizi che saranno più o meno esatti secondo la conoscenza che abbiamo del cinema in particolare e dell’arte in genere. Per poter dare una valutazione intelligente d’un film occorre – non altrimenti che per darla riguardo ad un libro, un quadro, una musica – una buona cultura (teorica, storica, artistica, letteraria, figurativa) che ci permetta di comprendere bene ed apprezzare l’opera che vediamo”.
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