In un momento estremamente delicato come quello che stiamo vivendo da ormai diciotto mesi, alle prese con un virus il cui sempre più diffuso contagio e le misure precauzionali adottate per contenerlo hanno stravolto le nostre vite e paralizzato a lungo interi settori dell’economia, non si può fare a meno di riflettere sul ruolo che il cinema, con desolanti e spettacolari visioni apocalittiche, ha avuto nel dare forma ad ansie e paure di una società moderna evoluta ma anche fragilissima che con la pandemia si è ritrovata a riflettere sui propri errori e limiti.
Pur trattandosi di una rappresentazione deformante, esasperata della realtà e dei destini dell’uomo, propria di un genere a metà tra la fantascienza e l’orrore, è sorprendente però notare come certi pessimistici scenari di devastazione e delirio collettivo prefigurati dal grande schermo trovino, oggi, parziale riscontro nell’emergenza epidemica del Covid, la cui veloce diffusione e la cui percentuale di mortalità (relativamente bassa, ma non per questo da sottovalutare) hanno destato serie preoccupazioni e, nonostante la campagna vaccinale, continuano a impensierire e a rendere necessarie misure contenitive. Quarantene, meccanismi di autodifesa che mettono a nudo la sconcertante debolezza dell’essere umano, sgradevoli episodi di sciacallaggio, la delirante corsa a svuotare gli scaffali dei supermercati, l’inconsueta geografia urbana di zone rosse e intere provincie blindate, città semi deserte, scuole e altri luoghi di aggregazione chiusi, eventi annullati o ai quali è preclusa la partecipazione del pubblico. Sembrerebbe un film, ma purtroppo non lo è.
Il quartiere romano dell’EUR, progettato negli anni Trenta dal regime e poi ampliato e ultimato alla fine degli anni Cinquanta, nel 1963 divenne il set per le agghiaccianti visioni apocalittiche di un film che all’epoca non fu capito: L’ultimo uomo della Terra (The Last Man On Earth, 1964), coproduzione italo-statunitense firmata da Ubaldo Ragona e Sidney Salkow, tratta dal romanzo di Richard Matheson I Am Legend. Il film ebbe una genesi travagliata. Fu lo stesso scrittore a lavorare alla sceneggiatura, destinata inizialmente alla casa di produzione inglese Hammer che ne acquistò i diritti. Bocciato dalla censura nel 1957, il progetto venne abbandonato e la Hammer volle cedere lo script al produttore americano Robert L. Lippert, il quale però vi fece apportare alcune modifiche. Si giunse, infine, alla decisione di realizzare il film in Italia e, secondo gli accordi di coproduzione, la regia fu affidata a Salkow mentre sembra che il nome di Ragona dovesse figurare solo per permettere l’utilizzo dei teatri di posa della Titanus, dove furono girati gli interni. Gli esterni furono filmati in parte a Ostia Lido, al cimitero Flaminio, nella chiesa di San Pio X nel quartiere Balduina, ma soprattutto tra le moderne geometrie del quartiere EUR, che contribuiscono indubbiamente a creare un senso di solitudine e alienazione. Vediamo il Palazzo della Civiltà, con la scalinata ricoperta di cadaveri, la ruota panoramica del Luneur, il celebre Fungo (nato come serbatoio idrico), il Pala Lottomatica: un quartiere moderno sorto a partire dagli anni Trenta per volontà del fascismo e qui “trasfigurato dalle livide luci usate dalla fotografia di Franco Delli Colli in chiave decisamente espressionista, apocalittica e desolata” (Mauro F. Giorgio). Il protagonista del film è il grande Vincent Price, che interpreta il dottor Robert Morgan, l’unico ad essersi sottratto a una terribile epidemia che ha sterminato l’umanità trasformando gli individui in vampiri. Di notte Morgan si rinchiude nella propria casa per sfuggire al rischio di un contagio e di giorno si aggira per la città, armato di paletti di legno, alla ricerca di creature vampiresche da trafiggere. L’attore disse in un’intervista: “Il problema nel fare L’ultimo uomo della Terra fu che si supponeva che fosse ambientato a Los Angeles, e se c’è una città al mondo che non assomiglia a Los Angeles, è proprio Roma”. Ma riguardando il film possiamo dire che la scelta dell’EUR fu senz’altro azzeccata. Il razionalismo del quartiere romano dell’EUR, che qui appare deserto e spettrale, diventa paradossalmente l’irreale scenario di una catastrofe planetaria. Tratto dallo stesso racconto di Matheson è il film 1975: Occhi bianchi sul pianeta Terra (The Omega Man, 1971, di Boris Sagal), con Charlton Heston.
Nel capolavoro di Goerge A. Romero La città verrà distrutta all’alba (The Crazies, 1973) il virus è un’arma batteriologica del Pentagono chiamata Trixie, che si diffonde accidentalmente nella cittadina di Evans City contaminandone l’acquedotto, con il tragico effetto di far impazzire gli abitanti al punto da spingerli a commettere efferati omicidi. Il film ha avuto un remake nel 2010, per la regia di Breck Eisner.
Virus, coproduzione italo-spagnola diretta nel 1980 da Bruno Mattei e Claudio Fragasso, associa il contagio alla sperimentazione scientifica (tesi, d’altronde, che ha accompagnato anche il dibattito attuale sul Covid) e gli strani vapori sprigionati per errore finiscono con il trasformare le persone in famelici zombie.
In Virus letale (Outbreak, 1995, di Wolfgang Petersen), invece, Dustin Hoffman, medico colonnello dell’esercito, è alle prese con una micidiale arma batteriologica che dall’Africa giunge negli Stati Uniti.
La lista dei film è lunga e va da Andromeda (The Andromeda Strain, 1971, di Robert Wise) a L’esercito delle dodici scimmie (Twelve Monkeys, 1995, di Terry Gilliam), da Mission Impossible 2 (id., 2000, di John Woo) a Infection (Kansen, 2004, di Masayuki Ochiai). Tutti raccontano, in un modo o nell’altro, il pericolo del contagio. Certo si tratta di fiction, di spettacolari storie di mutazioni genetiche, pandemie, lotta per la sopravvivenza. Ma oggi, con i recenti episodi di panico collettivo che abbiamo vissuto e le fantomatiche voci su una natura dolosa del Covid sfuggito dal laboratorio, quelle storie non sembrano poi così assurde o fantastiche. Se nel film L’ultimo uomo della Terra Vincent Price si aggirava per le strade di una Roma disabitata e inquietante, negli ultimi mesi i notiziari ci hanno mostrato le immagini di una piazza del Duomo a Milano vuota e di una Venezia che, sempre invasa da masse di turisti, si è incredibilmente spopolata. Non è altrettanto inquietante ?
Giuseppe dice
Morte a Venezia? (Anche se tratto da un romanzo)
Mario Galeotti dice
Giustissimo. Bisognerebbe ricordare il capolavoro di Visconti tratto dal romanzo di Thomas Mann. Ma in questo articolo mi sono concentrato brevemente solo sul genere horror e fantascientifico. Grazie comunque del commento, graditissimo !