Disponibile su RaiPlay Il cappotto, un film del 1952 diretto da Alberto Lattuada, tratto da un racconto di Nikolaj Gogol e interpretato, in un ruolo insolitamente drammatico, da Renato Rascel. Lattuada così spiegò la sua scelta: «Mi sono rivolto ad uno scrittore classico russo perché i caratteri del suo racconto sono caratteri universali ed esemplari e quindi i valori della storia raccontata da Gogol sono validi in qualunque parte del mondo ed in qualunque tempo [cioè] la tirannia e la cecità burocratica». Il primo incontro col pubblico avvenne al Festival di Cannes, nel maggio del ’52, dove Il cappotto ottenne una caldissima accoglienza da parte di un pubblico vibrante al delicato umorismo elegiaco di questa nuova opera, tra le più alte sinora realizzate dal regista. Il film e Rascel sfiorarono la premiazione, ma senza riuscirvi. Oltre che a Cannes, Il cappotto venne presentato in diverse altre sedi internazionali riscuotendo ovunque apprezzamenti. Fu segnalato come migliore film presentato alla “Quindicina del film italiano” che si tenne nella località belga fiamminga di Knokke le Zoute nel mese di Agosto 1952 ed ancora prima era stato applaudito nel corso di una proiezione a Londra, alla presenza del regista. Il cappotto fu poi selezionato tra le dieci pellicole destinate ad essere proiettate durante la “Settimana del Cinema Italiano” che si tenne dal 6 al 12 Ottobre a New York presso la “Little Carnegie Hall”, mentre in precedenza era stato anche presentato al Festival del Cinema di Edimburgo, ed altrettanto avvenne in Messico ed a Cuba, in occasione della Semana del cine italiano, a fine Dicembre del 1953, alla presenza sia di Zavattini che di Lattuada. Con Renato Rascel, Yvonne Sanson, Giulio Stival, Antonella Lualdi, Ettore G. Mattia, Giulio Calì, Anna Carena, Sandro Somarè, Loris Gizzi.
Trama
Italia, anni 50. Carmine, modesto impiegato comunale, avrebbe bisogno di un cappotto nuovo per non incorrere nel dileggio dei suoi pari. Dal racconto di Nikolay Gogol. Nastro d’Argento 1953 a Renato Rascel.
Dopo aver diretto successi quali Il Bandito con Amedeo Nazzari e Anna Magnani, Il delitto di Giovanni Episcopo con Aldo Fabrizi, Luci del varietà assieme a Federico Fellini e Anna con Silvana Mangano, Alberto Lattuada nel 1952 realizzò quello che a tutt’oggi è considerato il suo film più significativo, Il cappotto, con protagonista Renato Rascel. Tratto dal celebre racconto di Gogol pubblicato nel 1843, Il cappotto di Lattuada fu ambientato nella fredda Pavia proprio per ritrovare quelle atmosfere descritte dal narratore russo, anche se molte sono le discrepanze con il testo originario, visto che si preferì ampliare certi personaggi o dare più spazio ad alcune situazioni che si riteneva interessante sviluppare. Se nel racconto il superiore del protagonista è velocemente abbozzato, nel film di Lattuada assistiamo a una dilatazione del personaggio del sindaco, che incarna una serie di meschinità di cui risente l’insignificante impiegato comunale tutto dedito alla propria attività di trascrizione delle riunioni del consiglio. Ciò che più stava a cuore a Lattuada del racconto di Gogol era proprio la denuncia della burocrazia, questo gigante lento che fagocita qualsiasi slancio vitale, soffocandolo sotto la coltre di una miriade di carte bollate, in un processo di livellamento delle personalità, rese mediocri; assistiamo, verrebbe da dire, alle vicende di un Fantozzi ante litteram, se si pensa che quando Paolo Villaggio scrisse il famoso libro da cui nacque la fortunata saga cinematografica venne salutato come il Gogol italiano.
Carmine De Carmine è un miserabile, vive in una stanzetta squallida di una pensione, indossando lo stesso sdrucito soprabito che gli dà l’aria del morto di fame, quale del resto è. L’aver incontrato una bellissima donna, che abita nel palazzo di fronte al suo, e che è l’amante del sindaco, gli dà la forza di cercare di migliorare il proprio stato sociale e per tale motivo si fa fare un cappotto. Dà fondo a tutte le sue risorse per comprare la stoffa necessaria e per pagare il sarto (l’indimenticabile Giulio Calì di Un americano a Roma). A tal proposito risulta davvero riuscita la sequenza in cui, dopo aver realizzato l’abito richiesto, il compiaciuto sarto segue De Carmine per ammirare la sua opera d’arte (situazione questa presente anche nel racconto). Si arriva al cuore del film quando il protagonista partecipa alla festa di fine anno del segretario comunale in cui, complice qualche bevuta di troppo, si produrrà nel famoso ballo con la donna del sindaco (interpretata da una splendida Yvonne Sanson), creando le premesse per il successivo maltrattamento subito dal primo cittadino. E poi la catastrofe: durante il tragitto per tornare a casa, sotto gli archi di un ponte un’ombra lo avvicina e con la forza gli strappa via il tanto amato cappotto. Una sofferenza questa troppo grande per lui da sopportare e che lo porterà ad ammalarsi ed infine a morire, per poi tornare sotto forma di spettro a tormentare tutti i suoi concittadini per riavere indietro l’abito.
Lattuada si inserisce con questo film nella fase finale del Neorealismo italiano, accanto a film come Lo sceicco Bianco di Fellini, rivendicando una propria originalità che nasceva comunque da un’esigenza di trasporre cinematograficamente quelle che erano le sue letture. Renato Rascel fu da molti accostato a Charlie Chaplin per la sua interpretazione, anche se lo stesso Lattuada precisò che per l’inespressività, il contenimento, la sofferenza sarebbe stato più opportuno paragonarlo a Buster Keaton. Un film potente, che a distanza di oltre sessant’anni non cessa di esercitare un grande fascino.
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