Ritratto botticelliano a tinte vermiglie, sul quale De Palma mette la firma, macchiando la pellicola con il medesimo inchiostro proveniente dalla penna del Maestro King; scatti di pura poesia che, attraverso l’obiettivo di Mario Tosi, imprigionano tutta la sofferenza e la cattiveria dell’essere umano. L’orrore sta nella quotidianità e nella derisione per la debolezza, la lacerante angoscia di un’ignota incomprensione della malizia altrui, in un’adolescente appena fattasi donna.
Eterea bellezza di ragazza, così fragile, delicata, ma che cela un’inesauribile forza magnetica, data da Dio o da Satana, su questo non ci è dato sapere, quel miracolo cinetico, che per arrivare all’accettazione altrui e così alla libertà di essere, viene macchiato con il Male camuffato da Bene. La cinepresa di De Palma lascia la sua impronta, autoinvitandosi in ambienti dai più estremi cromatismi, trovando agio tra le brillanti scene di palchi volti al successo liceale ed esitando poi tra buie e dimesse mura domestiche, dove l’unico piglio di vivacità è dato da effigi sacre che campeggiano su pareti spoglie, accarezzate da scarne fiammelle, accentuando la lontananza dai piaceri terreni e dal peccato carnale.
Il regista fa un uso alquanto sfacciato della sua macchina da presa, caricando il diaframma e deflorando senza remore o pudore dai suoi più impercettibili tratti emotivi, una spaurita ed evanescente Sissy Spacek, che si fa valere per il ruolo, portandosi a casa un Oscar e quattro candidature, proprio per quella naturale fisicità e mimica teatrale. La stessa sfrontatezza direttiva verrà adottata da Brian De Palma più tardi, nel thriller adrenalinico Omicidio a luci rosse- Body Double (1984), che applaude alle forme femminili, portando la sua macchina all’uso voyeuristico.
A contrastare l’esuberanza di ripresa in Carrie, sono le note del Maestro Pino Donaggio, di bellezza casta e rispettosa, che sfiorano con timidezza e pudore la candida innocenza della Spacek: musica che riempie l’ ascolto di tenero e dolente turbamento, danzando leggera accompagnando ogni cambio fotogramma e ponendo un dolce e penoso accento sulla cattiveria dei vari personaggi, realisticamente interpretati dal cast presente, nel quale appare un giovanissimo e strafottente John Travolta, che si plasma nell’arrogante e malvagio liceale. Panni che gli si addicono in pieno e che lo vedranno ad essere nel 1976, Danny Zuko in Grease, senza però ovviamente, la traccia sadica presente nel carattere di Billy Nolan, nella pellicola di De Palma.
Carrie – Lo sguardo di Satana è un’opera al di là di ogni genere, intrisa com’è di innumerevoli stati emotivi che si fondono tra di loro, portando lo spettatore alla mutevolezza degli stati d’animo e arricchendo la visione di riflessività, oltre che di rapito trasporto. Quando il verbo si fa carne, dall’ unione di due menti come quella del padre di Carrie, Mr.King e in seguito con l’eccellente trasposizione cinematografica di Brian De Palma, il risultato non può essere altro che un raffinato e mentale capolavoro, destinato a brillare nella storia del genere.
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