A tre anni di distanza dal suo primo film, il giovane regista campano Sydney Sibilia fa tornare alla ribalta, sul grande schermo, la banda di ricercatori più sgangherata d’Italia, guidata ancora una volta da Pietro Zilli. Smetto quando voglio – Masterclass è un sequel geniale che conduce all’estremo la comicità del predecessore, tra incidenti, esplosioni e situazioni come al solito “stupefacenti”.
Il cinema italiano sembra aver finalmente ripreso nuova linfa vitale grazie a progetti audaci come Lo Chiamavano Jeeg Robot, Mine e Veloce come il vento, per citarne alcuni, che hanno segnato l’anno appena trascorso. Ma a tentare di rompere gli schemi tradizionali ci aveva già pensato, nel 2014, Sydney Sibilia con l’apprezzatissimo Smetto quando voglio, film che ha ricevuto numerosi consensi da critica e pubblico, e che ci ha fatto conoscere, in tutte le sue sfaccettature, una banda di ricercatori universitari, precari e disperati, intenti a sfruttare le loro conoscenze per produrre una droga sintetica legale ed iniziare a fare soldi.
Una critica sociale non troppo velata al sistema italiano, mista ad una sceneggiatura brillante, sono stati gli ingredienti di un vero e proprio “cult”, tale da convincere i produttori a dare il via libera per un altro film ed un capitolo finale intitolato Ad Honorem, la cui uscita è prevista per il 2018. Smetto quando voglio-Masterclass parte subito in “medias res”, ricollegandosi al filone narrativo del capitolo precedente. Pietro Zinni, interpretato da Edoardo Leo, si trova in carcere intento a scontare la sua condanna, quando la sorte sembra fornirgli una seconda opportunità. La legge italiana, infatti, ha bisogno di lui e l’ispettore di polizia Paola Coletti, interpretata dalla bravissima Greta Scarano, gli propone di lavorare per lei, sotto copertura, allo scopo di riconoscere tutte le nuove droghe in circolazione e di debellarle. Ecco il pretesto, dunque, per rimettere in piedi la banda e buttarsi a capofitto in questa nuova avventura.
Grazie ad una sapiente inversione di ruoli, dunque, Pietro si trova a guidare una vera e propria task force (chiara la strizzata d’occhio a Suicide Squad), che deve agire per conto della Polizia al fine di ottenere la libertà tanto desiderata. Per riuscire nell’ardua impresa, la banda si arricchisce di nuovi ingressi rappresentati dall’avvocato Vittorio, l’ingegnere elettromeccanico Lucio Napoli e l’anatomista teorico Giulio Bolle. I ricercatori dovranno poi fare i conti con un losco individuo chiamato Walter Mercurio, un uomo che a causa del suo burrascoso passato ha deciso di dedicarsi completamente al mondo del crimine. Un villain che sta alla banda quello che Lo Zingaro stava ad Enzo Ciccotti in Lo Chiamavano Jeeg Robot, e che si rende protagonista di sequenze spettacolari ed inusuali per il cinema italiano, come la scazzottata con Pietro, sul treno in corsa. La vera forza narrativa di questo sequel, dunque, sta proprio nella continua voglia di strafare all’interno di una cornice realistica, in cui si ride e si riflette al tempo stesso, attraverso una sapiente commistione di generi e linguaggi. Lodevole la soundtrack e la fotografia che conferiscono alla pellicola un’atmosfera da poliziesco anni ’70, a dimostrazione del fatto che, nonostante la sua giovane età, Sydney Sibilia possa dire la sua nel variegato panorama cinematografico italiano.
Smetto quando voglio – Masterclass – Recensione
8
voto
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