Diana (Gal Gadot), principessa delle Amazzoni, trascorre la sua infanzia e giovinezza a Themyscira, isola protetta dal mondo e dall’incombente minaccia di Ares, dio della guerra. Quando sull’isola approda una giovane spia americana (Chris Pine), scampata alla vendetta dei tedeschi, Diana scopre la realtà su un mondo straziato dal primo conflitto mondiale. Convinta che la violenza e la brutalità del genere umano derivino dal crudele operato di Ares, decide insieme a Steve Trevor di raggiungere il fronte della guerra per porre fine per sempre alle ostilità.
Dopo la comparsata di lusso in Batman v Superman: Dawn of Justice e la disillusione creatasi nei confronti del nuovissimo DC Universe in gran parte dei fan, Wonder Woman rappresentava l’insieme di tutte le speranze di chi spera nella resurrezione cinematografica della Golden Age supereroistica. Mentre l’universo Marvel corre verso il 2019 e la possibile fine della Fase 3 con il secondo capitolo sulla Infinity War degli Avengers, si fatica infatti a capire se, oltre Justice League, DC possa avere delle reali prospettive sul grande schermo.
La situazione si fa ancor più difficile se si analizza come DC abbia scelto di rompere la sua linea di coerenza relativa ai propri personaggi. Con Wonder Woman si perde tutta la cupezza, l’oscurità e la tenebrosità di eroi a loro modo unici, e li si indirizza verso un processo di banalizzazione. Da antesignana di una diversa e nobile figura della donna (già nel lontano e retrogrado 1938) Diana Prince diventa un’ingenua sempliciotta, oggetto di battute a dir poco infantili (fanno ancora ridere le cinepanettonesche gag a sfondo sessuale?) e protagonista di una storia d’amore fine a se stessa e, in fin dei conti, patetica. Benché Gal Gadot si confermi decisamente adatta e convincente nel ruolo, rimane fortemente penalizzata da una sceneggiatura scadente e confusionaria che ben poco ne valorizza l’enorme potenziale, sia a livello di personaggio che di interprete. In Wonder Woman regna una stupidità di fondo dettata da insulsi dialoghi e incongruenze mitologiche e storiche (la prima guerra mondiale sembra la seconda, ma per la produzione evidentemente sono dettagli) al limite dell’assurdo, condite da scene evitabili e palesemente riempitive.
Difficilmente un prodotto di Hollywood esce dalla California per essere etichettato come un prodotto “brutto”, soprattutto se parliamo di cinecomics che, negli ultimi tempi, hanno sempre cercato (con successo) di arrivare con prodotti godibili al grande pubblico. Wonder Woman fa eccezione perché è invece, in sintesi, un brutto film. Incapace di coinvolgere dalla prima all’ultima scena, tenta disperatamente di inserire un villain mal riuscito, molto più simile allo stereotipo del “brutto, grosso e cattivo” di una qualsiasi puntata dei Power Rangers che ad un antagonista profondo ed elaborato, assolutamente privo di qualsiasi spessore. Aggiungete effetti speciali e CGI da film anni ’90 e avrete la formula definitiva del cinecomic non riuscito, irritante e noioso nella sua ingiustificabile prolissità lunga 140 minuti e resa meno amara solo dall’arrembante e martellante colonna sonora curata dal sempre impeccabile Hans Zimmer.
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