Nelle Langhe ed in tutto il Nord Italia infuria lo scontro tra partigiani e fascisti. Milton (Luca Marinelli), ragazzo della Resistenza, non riesce a dimenticare il passato ed il particolare rapporto con Fulvia (Valentina Bellè) e Giorgio (Lorenzo Richelmy), suo amico di infanzia. Ricordi misteriosi e ambigui continueranno a perseguitarlo, ma sarà presto costretto ad affrontare una realtà cruda e spietata.
Tratto dall’omonimo romanzo di Beppe Fenoglio pubblicato nel 1963, Una questione privata riprende e innova un filone cinematografico già sperimentato negli anni. Raccontare tanto la Resistenza quanto il fascismo è diventato fenomeno comune nel nostro cinema alla luce dell’importanza storica degli anni del regime e della sua caduta. Il racconto di Fenoglio però è ben diverso da un’asettica cronaca di un periodo storico ben noto: proprio per questo il progetto è stato ben accolto dai fratelli Paolo e Vittorio Taviani, letteralmente fulminati dalle pagine del romanzo.
Presentata in concorso alla dodicesima edizione della Festa del Cinema di Roma, l’opera riprende in pieno la poetica dei Taviani e ci pone al centro di una vicenda in cui il contesto opera più da vera e propria quinta teatrale di una storia ben più intima. Teatralità che anima il film da cima a fondo e ne influenza il registro, consegnandoci una recitazione (non si sa quanto volontariamente) affidata a toni talvolta dissonanti con ciò a cui si è cinematograficamente abituati. Soprattutto il personaggio di Fulvia stride fortemente con gli altri interpreti, presentandosi come una ragazza poco certa di ciò che voglia davvero, incapace di non risultare, agli occhi dello spettatore, infantile ed irritante.
Non risulta pienamente adeguato per il ruolo interpretato anche Luca Marinelli. Difficile capire se sia davvero il ruolo a non essergli adatto o sia la maldestra scrittura dello stesso ad aver creato un personaggio difficilmente adattabile all’attore romano. La prova di Marinelli è valida e l’interpretazione suggella ancor di più il ruolo che il villain di Lo chiamavano Jeeg Robot si sta ritagliando nel campo del cinema italiano. L’attenzione registica dei fratelli Taviani, sempre molto legata alla valorizzazione del paesaggio e al costante riferimento all’opera letteraria presa in esame, rievoca Kaos, decimo film del duo pisano. Le colline piemontesi avvolte dalla nebbia sono più di un semplice sfondo, agendo da protagoniste silenti di una storia di crudeltà, violenza e dolore.
Una questione privata è un’opera peculiare già a partire dal suo riferimento cartaceo. Il romanzo di Fenoglio, privo di una vera conclusione, non tira le fila delle storie narrate ma lascia all’immaginazione del lettore l’epilogo delle vicende che vedono Milton protagonista. Allo stesso modo i fratelli Taviani scelgono di non dotare di una propria auto-conclusione gli 84’ di film: benché ciò si dimostri immensamente fedele all’opera letteraria, allo stesso tempo lascia un vuoto narrativo poco funzionale nell’economia stessa del film.
Si preferisce dunque concentrarsi sulle vite che animano la Resistenza piuttosto che sulla Resistenza stessa. Ad emergere in Una questione privata non è tanto il concetto di eroismo (comunque proprio dei partigiani), quanto una riflessione su come entrambi i lati della barricata altro non siano che fragili e connesse vite, separate soltanto dalle contingenze degli strascichi di una guerra che sembra non finire. Un lato umano che non emerge del tutto e che risulta lungamente affossato da un binomio di storie d’amore/amicizia dominate da un sentimento di odio-amore e da una superficialità, forse apparente, ma incredibilmente inadeguata.
Una questione privata – Recensione
6
voto
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