Il nuovo film di François Ozon, nelle sale dal 19 aprile 2018, è un thriller psicologico intenso e coinvolgente.
Chloé è una donna di 25 anni bella e fragile. Da tempo soffre di un mal di pancia che sembra sia psicosomatico: tutte le visite specialistiche che ha effettuato non hanno riscontrato in lei alcun problema fisico. Decide, quindi, di intraprendere un percorso di psicoanalisi. Dopo i primi miglioramenti, dovuti dal fatto di aver trovato un lavoro stabile e un compagno premuroso, la salute psichica della donna si compromette di nuovo. Angoscia, turbamento e ossessioni si impadroniscono di lei quando, quasi per caso, scopre che il suo fidanzato – e analista – Paul ha in realtà un gemello. Identici fisicamente, ma diametralmente opposti dal punto di vista caratteriale, i due fratelli interagiscono con Chloé intercambiandosi tra loro in un vortice di mistero e apprensione, fino a che la stessa donna – e lo spettatore – finisce per essere incapace di distinguerli.
Non la solita trama da film d’amore francese, quindi, ma un thriller che esplora i più reconditi angoli della psiche umana. Per tutta la durata del film lo spettatore si trova a camminare su quella linea sottile che scinde la realtà dal sogno, che in “Doppio amore” è talmente flebile e impercettibile che spesso i due mondi si fondono tra loro. Più che una dimensione onirica, quella in cui veniamo catapultati nel film è una visione introspettiva della mente di Chloé, nella quale sembra quasi di camminarci dentro, tanto è ben raccontata.
Tutto nel film riporta a questo tipo di introversione e autoanalisi, l’intero mondo che circonda la donna è filtrato dai suoi occhi e allo stesso tempo è un riflesso della sua interiorità. Le opere del museo nel quale Chloé lavora diventano man mano sempre più sanguinee, intricate, ramificate, proprio come la sua psiche.
Il tema del doppio è ampiamente sviluppato, ma in maniera diversa rispetto al solito. I gemelli non sono identici, ma speculari: ognuno possiede ciò che all’altro manca, il carattere forte e prepotente di uno compensa quello remissivo e timido dell’altro. Così rappresentati, più che due creature equivalenti, i gemelli appaiono come le due metà di una stessa persona: uguali, ma allo stesso tempo diametralmente opposti. Persino Chloé, durante il film, sembra indossare due diversi abiti: quello della mogliettina con uno e dell’amante passionale con l’altro. Il suo modo di parlare, di camminare, di vestire si trasforma in base a quale gemello si trova di fronte. La dualità è curata nei minimi dettagli in tutti gli aspetti del film e dei personaggi.
Questa dualità in “Doppio amore” va interpretata come la forza che tiene in equilibrio gli aspetti contrastanti di una stessa personalità, in perenne conflitto tra loro, ma indispensabili l’una all’altra. Ciò che siamo e il nostro contrario hanno bisogno di coesistere nella nostra psiche per renderci completi.
“Doppio amore” è stato acclamato allo scorso Festival di Cannes, non senza ragione. Introspettivo, intrigato e intrigante, grazie al suo ritmo incalzante il film fa presa sullo spettatore sin da subito. Ma è verso il finale che lo conquista del tutto: inaspettato tanto quanto accattivante, l’ultima scena toglie il fiato al più scettico dei critici.
Doppio amore – Recensione
8
voto
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