Disabituato alle carrellate di grande rigore stilistico e ormai avvezzo alle riprese con la camera a mano cui ci ha introdotto “Dogma 95”, il pubblico meno smaliziato deve aver vissuto un momento di smarrimento dopo i primi 20 minuti di Roma, il film di Alfonso Cuaròn vincitore del Leone d’Oro alla Mostra del cinema di Venezia 2018. Per prima cosa il bianco e nero subito riporta all’idea di cinema antico, e poi a un concetto di realismo che sta alla base di un grosso equivoco. E’ il colore in verità il mezzo che permette di aderire maggiormente al vero, mentre il bianco e nero lascia più spazio ai contenuti, consentendo una migliore focalizzazione sui personaggi e sulla storia. E poi questo film, con le carrellate narrative e i campi lunghi, offre una profondità di campo che solo il bianco e nero riesce a restituire. Il regista messicano ci abitua così al segno e al linguaggio del suo raccontare, e poco per volta ci appassiona alla vicenda della protagonista Cleo.
Roma è il nome di un quartiere borghese di Città del Messico, e la vicenda ha spunti autobiografici. Cleo è una giovane donna di servizio di origine mixteca che lavora con Adela, anche lei india, in una famiglia con quattro bambini. Un angelo aggraziato e gentile che si prende cura di tutta la famiglia, compreso il cane (ma quanti cani ci sono in Messico!). Cleo prepara da mangiare, pulisce, dà il bacio della buona notte ai bambini, li accompagna a giocare, ne custodisce i sogni. E’ sempre in movimento, pronta ad esaudire ogni richiesta dei componenti della famiglia. Compreso il padre, costantemente alle prese con la difficoltà di parcheggiare nel cortile la sua enorme Galaxy. Il capofamiglia, di cui il regista ci rimanda solo poche inquadrature delle mani al volante e un’apparizione di pochi secondi, uscirà presto di scena: abbandonerà moglie e figli senza sostentamento per andarsene ad Acapulco con l’amante. E anche la piccola Cleo vivrà un dramma dell’abbandono ancor più tragico.
Le vicende personali dei protagonisti si intrecciano strettamente con la cronaca messicana dei primi anni settanta. Diventano simbolo e metafora della situazione sociale e delle tensioni politiche. Un terremoto, la rivolta degli studenti repressa nel sangue dal governo e l’espropriazione dei terreni si stringono così violentemente alle vite della famiglia e di Cleo per culminare in una scena di alta tensione e grande tragicità, quando la vità della ragazza india subirà una svolta proprio durante la repressione studentesca.
D’altra parte il senso di tragedia incombente affiora più volte nel film, a cominciare dalla metonimìa del brindisi per il Capodonno del 1971, quando un gesto maldestro di una partecipante alla festa nella dépendence (diciamo così…) della servitù fa infrangere sul pavimento la tazza di Cleo con il pulque, il tradizionale liquore messicano. Una figura retorica che ricorda da vicino quella utilizzata da Michael Cimino ne Il Cacciatore, con la macchia di vino rosso sangue sull’abito della sposa.
Valore simbolico assume anche il cortile delle famiglia borghese, continuamente imbrattato dalle deiezioni del cane di casa. Inutili gli sforzi per tenerlo pulito dell’instancabile Cleo, che vi getta ogni giorno secchiate di acqua e sapone. Il cortile si ripresenta sempre come il giorno prima, disseminato di escrementi.
Ci sono altre due tematiche di rilievo in questo film elegante ed empatico: la differenza di classe e il mondo visto al femminile. Separati e allo stesso tempo uniti da un affetto profondo, servo e padrone vivono un’ambiguità di ruoli che permette l’amore ma che alla fine mantiene le distanze e traccia confini ben delimitati. Cleo è amata e protetta, ma anche nei suoi momenti più difficili rimane la sguattera a servizio in una casa borghese. Le donne, poi, sempre più sole a causa di un maschile negativo, o per assenza o per incapacità di condividere il mondo interiore femminile, sono le regine del film che si sviluppa tutto attorno a loro.
Alfonso Cuaròn, già noto all’ambiente hollywoodiano per il precedente Gravity, conferma il suo successo con questa regia magistrale. Visibile su Netflix dal 14 dicembre.
Data uscita: 14 dicembre 2018
Genere: Drammatico
Anno: 2018
Regia: Alfonso Cuaròn
Attori: Yalitza Aparicio (Cleo), Marina de Tavira (Sofia), Nancy Garcìa (Adela)
Paese: Messico, USA
Durata: 135 min
Distribuzione: Netflix
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