Difficile parlare di un film come Bohemian Rhapsody senza prescindere dal sound ipnotico e costantemente in evoluzione dei Queen, grazie al talento vulcanico e creativo del suo frontman. Il grande lavoro di sincronizzazione per far coincidere la voce di Mercury con il labiale di Rami Malek è perfetto, e il risultato è trascinante come le note di ogni successo della band. Con la sua incredibile estensione vocale di quattro ottave, uno strumento naturale prodigioso capace di utilizzare le subarmoniche e la inusuale velocità delle corde vocali, la voce ormai mito di Freddy Mercury avvince gli spettatori in un sogno lungo quasi due ore. Per uno sconosciuto nato a Zanzibar, che in realtà si chiamava Farrokh Bulsara e che lavorava come facchino all’areoporto di Heathrow fu davvero un volo d’aquila.
Un titolo non a caso, perché Bohemian Rhapsody rimane l’insuperato capolavoro dei Queen, scritto interamente da Freddy. Un mix sublime di coro a cappella, assoli di chitarra, hard rock, opera e piano solo. Il film è nato per piacere a tutti, e a tutti è piaciuto. Eppure se togliamo la musica, lo scheletro del film si rivela piuttosto banale, la solita agiografia tagliata con l’accetta di una come di tutte le rockstar. Avvio epico con Mercury inquadrato di spalle nel backstage del Live Aid mentre si avvia sul palco, esordio di grandi speraze in fuga da una realtà miserevole, trauma da riscattare, sviluppo in crescendo fulminante, finale trionfale. Una scrittura da bignami della sceneggiatura che strizza l’occhio allo spettatore. E poco importa che gli eventi non corrispondano al vero. D’altra parte si è mai vista una biografia filmica che non abbia mentito per rendere il prodotto più appetibile e adeguare le vicende alle esigenze dello script? Questo non è un libro, è un film! Che importa se i componenti del gruppo non si conobbero così, se Mercury suonasse già da tempo al momento dell’incontro decisivo con Brian May e Roger Taylor (il bassista John Deacon si aggiungerà dopo). Che importa se Freddy non presentò mai il fidanzato alla famiglia di fede zoroastriana e se non ci fu mai un reale scioglimento della band. Il cinema non è la realtà. Per chi vuole il reale meglio vedere i video dei concerti che mantengono il suono e le ambientazioni originali, non un’inquadratura creata con il green screen che rende quasi surreale il pubblico dello stadio di Wembley. E’ paradossale come l’unica vicenda che appare poco credibile, l’amore e il legame indissolubile con una donna, Mary Austin, sia invece autentica. Mary è ancora oggi la sola persona che conosce il luogo in cui si trovano le ceneri di Freddy.
Altra cosa è invece la scelta di ricalcare, pur con quale licenza narrativa, in modo ordinario la storia della band, anche per quel che riguarda le caratteristiche fisiche dei personaggi. Al pur bravo e volonteroso Rami Malek è affidata una mission impossible che irrimediabilmente naufraga nella mera imitazione. Tutto il cast, a dire il vero, appare un po’ relegato nel purgatorio della caricatura, ma al povero Malek spetta, suo malgrado, la minaccia del ridicolo cui lo condanna una protesi dentale che fa rimpiangere i dentoni di Alberto Sordi. Per fortuna il mito di Mercury ingloba l’interprete e lo trasfigura.
A Freddy Mercury la definizione della biografia musicale dedicata a lui e alla sua band sarebbe piaciuta molto: “Bohemian Rhapsody è il re del box office italiano 2018“. Proprio il linguaggio di Mercury, che aveva voluto chiamare il gruppo “Queen” per il suono regale e onnicomprensivo del termine. Con un totale di 20.200.000 spettatori, Bohemian Rhapsody resta saldo in cima alla classifica e conferma un record destinato a rimanere imbattuto per molto tempo. Un miracolo del botteghino, se si considera che la produzione è riuscita a non superare il budget dei 60 milioni di dollari e a fornire al contempo uno spettacolo ambizioso.
La scelta di far terminare il film proprio nel momento in cui una vera biografia avrebbe dovuto cominciare, il concerto al Live Aid, la dice lunga sulle intenzioni degli autori, più interessati ad esaltare il mito e a guardare agli Oscar che a ricomporre il complicato puzzle della persona Freddy Mercury. I tasselli sono intagliati con mano grossolana. I protagonisti non hanno tridimensionalità e la complessità di Freddy-Farrokh si perde nella celebrazione esaltata della sua creatività di compositore cantante, pianista, atleta. Gli anni della malattia, della vittoria dell’Aids, degli Show must go on scompaiono a favore di una spettacolarità tutta tesa a conquistare il plauso del pubblico. E l’operazione riesce anche se è pantomima dietro le quinte, spazi vuoti. Un volo verso la libertà e poi basta. Come cantava il suo amico, libero come quell’uccellino azzurro. Oh I’ll be free Just like that bluebird…
Data uscita: 29 dicembre 2018
Genere: Biografico – Musicale
Anno: 2018
Regia: Dexter Fletcher e Bryan Singer
Attori: Rami Malek, Mike Myers, Aidan Gillen, Tom Hollander, Joseph Mazzello, Lucy Boynton, Allen Leech
Paese: Gran Bretagna, USA
Durata: 134 min
Distribuzione: 20th Century Fox
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