Dopo una prima parte lenta e volutamente dimessa, il film diretto da Gary Dauberman prende velocità e accumula come in un carillon orrorifico trovate e situazioni reiterate e piuttosto canoniche, dando la temperatura di un horror ben confezionato che rispetta tempi e canoni specialmente nel disegnare un universo di incubi dilatato, dove la semplificazione va a spasso con lo spavento continuamente solleticato.
A dire il vero, in questo terzo episodio di una saga destinata alla bambola che tra tutti gli oggetti di casa Warren è caricata di maggiore capacità demoniaca, il punto di forza è nel triangolo delle giovani interpreti e nel garbo con cui recitano e vengono dirette; poi questo elemento che permette un’immedesimazione anche delicata, diviene il tramite per il classico assedio ai loro danni, attuato dalle forze spiritiche ridestate maldestramente da Daniela, un’amica autoinvitatosi a casa di Susy, la figlia dei coniugi Ed e Lorraine Warren, demonologi e cercatori di fantasmi che tengono la pericolosa bambola posseduta da uno spirito nella teca del loro museo degli orrori celato nello scantinato di casa.
La prima parte del film è dunque la scoperta dei fantasmi tra le pareti dell’abitazione dei Warren, dove la baby sitter di Judy e Daniela si contendono il palcoscenico della paura e della frustrazione, poiché ognuno di loro ha un conto in sospeso con il passato (Daniela vive il senso di colpa per la morte del padre e auspica di ritrovarlo). Porte che scricchiolano, nebbie, uomini spettrali, dame con il velo bianco. Tutto l’armamentario dello spiritismo volteggia attorno al ghigno disturbante della bambola Annabelle, che incarna naturalmente le paure infantili, l’inanimato animato che tanto spaventa il buio e il sonno. Poi il racconto porta accumuli, le ragazze hanno pessime idee come quella di Daniela che si precipita nello scantinato per comunicare con lo spirito di suo padre cercando un segno che però arriva da Annabelle, malauguratamente liberata dalla teca che aveva il compito di contenere il male.
Il precedente Annabelle 2: Creation, era un prequel, mentre in questo Annabelle 3 le situazioni si ricollegano a L’evocazione – The Conjuring. Se si perdonano una certa ripetitività, è però vero che dopo una prima parte rarefatta e un po’ pretestuosa, il racconto prende una nota di sicurezza e genera brividi in una dimensione claustrofobica in cui lascia il segno soprattutto l’interprete più giovane, Mckenna Grace che interpreta Judy: il suo volto dall’espressione compassata, rende bene la condizione, tra la rassegnazione e la mestizia, di una bambina costretta a vivere una vita fuori dal normale – assieme ai genitori demonologhi che conoscono bene i rischi del loro ruolo – che usa il crocifisso come una giustiziera di vampiri navigata. La bambola di Annabelle ha un look particolarmente inquietante e come il film è in grado di suscitare tensione, a tal punto che tutto il racconto è una ricerca minuziosa dell’apprensione, nella ripetuta apparizione di oggetti inanimati che scompaiono così come di fantasmi che si ritraggono dalla scena. Nel carnevale delle icone horror, le bambole sono macabri simulacri di “alienità”, perfetti nel ribadire, con la loro fissità inquietante, come il volto umano possa spaventare quando appaia il suo tratto di maschera, il suo aspetto deformato.
Certo, le buone intenzioni di una regia e di una scrittura precisa (Gary Dauberman scrive in questo caso anche la sceneggiatura), non riscattano da una generale meccanicità, dal tedio che il racconto alla lunga sollecita. Ma il suo interesse è nel tratto encliclopedico, nella raccolta di immagini della paura che fanno di Annabelle 3 un serbatoio di visioni, situazioni tipiche dell’immaginario infantile (come la paura delle bambole e delle presenze sotto le coperte, o oltre streghe che ci tirano i piedi mentre dormiamo). C’è delicatezza tra queste ragazze, ma c’è anche reattività, intuito, necessità di crescere e comprendere.
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