Venezia 2020: Cigare au miel inaugura Le Giornate degli Autori
La Mostra d’arte cinematografica di Venezia presenta Cigare au miel (Honey Cigar), opera prima della regista Kamir Aïnouz: intensità di sguardo e precisione di tratto nel racconto di vita di Selma, diciassettenne che vive a Parigi con la sua famiglia berbera borghese e laica ma condizionata dalle richieste di integrazione, al varco con il bisogno di crescere della figlia. Selma si rende conto per la prima volta delle severe regole della sua famiglia patriarcale quando incontra Julien, un giovane per cui prova attrazione, per il quale trasgredisce la severa regola di tornare presto a casa la sera.
L’atteggiamento partecipante della brava regista esordiente restituisce il respiro della tensione e della sorpresa, le esperienze della ragazza che scopre un mondo dove la sua bellezza la mette sotto gli sguardi dei maschi mentre le premure dei genitori sono contornate dall’ambivalenza e dalla contraddittorietà. Il padre porta con sé retaggi di autoritarismo che dapprima sembrano confacenti alle abitudini della moglie ma che in realtà anche alla donna stanno stretti, tanto che si si scoprirà come lei stessa rinunciò all’autonomia prospettatale dai suoi studi per poter accudire la figlia Selma. Quest’ultima, che attraverso le esperienze e il suo temperamento conserva uno sguardo non addomesticato, cerca quell’autonomia che la sua età richiede, e a lei si propongono offerte professionali in realtà fonte di dispiacere. Mentre l’islamismo prende il controllo del paese d’origine, Selma scopre la forza del suo desiderio e con esso il bisogno di resistere combattendo. Pur patendo l’oppressione nell’intimità dettatale dai genitori, non rinuncia ad assaporare la vita, adotta una strategia che la vede partecipare alle scoperte ma si mantiene vigile, attenta alle trasformazioni e a scoprire persino scampoli di affetto in un mondo che sembrerebbe farne facilmente a meno. Ritorna con la madre al paese natio e rivede la nonna, una figura affettuosa, di cui assaggia i dolci e i piatti preparati con delicatezza. Grazie al sentimento che prova per la sua gente, coltiva l’orgoglio e il senso di adesione a vicende che hanno trovato nel patimento la forza per resistere. Ritratto di una famiglia divisa tra le istanze del passato e le urgenze del presente, scena di tensioni e cambiamenti auspicati, il film è condotto con sguardo complice: uno sguardo femminile sul femminile, dove il greve autoritarismo del padre si sgretola nella ricomposizione di madre-figlia e nonna: nei molti elementi toccati dal suo film, la regista non si smarrisce, mantiene il controllo attraverso la messa a fuoco della protagonista, disposta a condursi nella baraonda rischiando ma non perdendosi.
Un film sull’identità di una giovane nel contesto dei conflitti etnici e nel confronto con un padre che, come si dice espressamente, non è sempre destinato a diventare un modello inviolabile. Alla fine vediamo la Selma sola, camminare a piedi scalzi per strada, alla ricerca di quella fisicità che contrassegna le trasformazioni psicologiche e annuncia il bisogno di liberazione e autonomia. La rivendicazione di un diritto a percorrere la propria strada con i propri occhi, già anticipata dalla scelta della madre di aprire uno studio di assistenza nel paese natio bersagliato dai terroristi. Una posizione di orgoglio femminile per dare un segno di riscatto e segnare, pur nel disorientamento iniziale della stessa figlia, una differenza politica e morale.
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