E’ arrivato quel periodo dell’anno nel quale le ore di luce si riducono a favore dell’oscurità e il rigore dei mesi invernali inizia a farsi sentire. Il buio ammanta, trasforma, divora le cose.
Questi giorni in cui miti magici e culti religiosi si inseguono e talvolta si sovrappongono nella penombra, proprio come il giorno e la notte, sono quelli dedicati ai morti. Dove sono andati coloro che abbiamo amato, che sono stati parte della nostra vita? Sono davvero svaniti nel nulla, come una foglia dilaniata dalla fiamma, che lascia solo un’ombra di fumo? E allora la paura, utile e necessaria alla conservazione della nostra specie, si attenua e diventa speranza, lo sguardo si alza oltre questo mondo, per cercare quell’altro. Quello che solitamente non si vede, che è immerso nel buio delle tenebre della non-conoscenza, eppure esiste. E’ il mondo dei fantasmi.

Hereafter
Cerere, la fertile e solare dea delle messi, piange la figlia Proserpina rapita dal Dio Ade e la terra non germoglia né fiorisce più, tutto rimane fermo, freddo, addormentato. In questo tempo in cui ogni azione è apparentemente sospesa, durante il quale il seme immobile dorme sotto la terra, la distanza fra il mondo dei vivi e quello dei morti si assottiglia. Gli spettri ritornano e possono di nuovo parlare, raccontare. Il cinema, terra di illusionismo, nella quale le leggi del tempo e della vita sono state fermate- ogni volto nel tempo dell’inquadratura è vivo e giovane per sempre -stavolta racconta i fantasmi. E non fanno paura.
Antonio Pietrangeli, il regista italiano che fu più delicato, sensibile, attento a quello che non subito si vede, che si nasconde (l’ipocrisia, la virtù nascosta, la vita delle donne nel retrobottega, tra pregiudizi e angherie), nel 1961 dà vita ad un film completamente diverso che ribalta lo stereotipo dei fantasmi cinematografici: Fantasmi a Roma. Velati, pixelati, malinconici, ma anche spiritosi, baldanzosi, seduttori, insomma, tutto quello che sono stati in vita ed ancora di più, gli antichi abitanti del palazzo di famiglia dell’anziano Principe Annibale di Roviano (Eduardo De Filippo) vivono ancora lì, ma invisibili all’occhio umano. Degli uomini non solo hanno ancora i desideri e i vizi, ma ne seguono con interesse anche le vicende. C’è il bel Reginaldo (Marcello Mastroianni) novello Don Giovanni, che non resiste al fascino femminile, precipitato dal balcone di una sartina, c’è Fra Bartolomeo (Tino Buazzelli) amante del buon cibo, vittima di polpette avvelenate, c’è Flora di Roviano (Sandra Milo), la bionda e svampita dama suicida per amore e c’è anche un bambino, il piccolo Poldino, fratello maggiore dell’anziano principe, morto durante l’infanzia, che va ancora a scuola, anche se i compagni non si accorgono di lui e suggerisce le risposte di matematica all’orecchio di una scolaretta.

Fantasmi a Roma
Infine, tumultuoso, anticlericale, irascibile, c’è il pittore Caparra (Vittorio Gassman) i cui lavori vengono continuamente scambiati per quelli del Caravaggio, facendolo montare su tutte le furie. Al magnifico soggetto partecipano Ennio Flaiano, Antonio Pietrangeli, Ettore Scola, Ruggero Maccari e Sergio Amidei, le musiche sono di Nino Rota. Fantasmi a Roma è un capolavoro che non ha goduto del giusto merito, dotato di quel malinconico umorismo che una regia elegante e un voluto distacco rendono poetico ed inafferrabile, come il velo di tulle e lo scintillio delicato degli abiti che indossano i fantasmi. Fantasmi che ci vogliono anche un po’ di bene, che ci consigliano i piatti migliori al ristorante, le risposte giuste a scuola, il partito migliore da prendere, ma che, fatalmente, rimangono inascoltati.
Una curiosità: Il palazzo dei Principi Roviano, dove si svolge quasi tutta la vicenda, identificabile con palazzo Gambirasi, si trova a Roma in via della Pace, di fronte all’omonima chiesa.

Fantasmi a Roma
Il Fantasma e la signora Muir di Joseph Mankiewicz (al suo quarto film) è stato candidato ad un Oscar nel 1947. Basato sul romanzo omonimo di R.A. Dick, racconta la scelta di una giovane vedova con una bambina di trasferirsi presso una casetta in riva al mare, sulla costa del New England, lontana dalle spiacevoli suocera e cognata. Qui però scoprirà che il cottage è già abitato dal fantasma del capitano di marina Daniel Gregg (Rex Harrison), col quale allaccerà una singolare relazione. Il regista riesce a rendere credibile, divertente e commovente un rapporto amoroso apparentemente squilibrato (lei è viva, lui morto), all’interno della quale si inserirà un imprevisto che renderà la storia una struggente riflessione sul tempo che passa e sulla perdita delle persone che amiamo.

Il fantasma e la signora Muir
In quegli anni, non molto lontani dalla guerra e dalle tante vittime che aveva mietuto (fratelli, mariti, figli…) le commedie fantastiche non erano infrequenti ed indagavano spesso il rapporto con la morte, cercando di elaborare lutti attraverso storie catartiche, ricche di elementi spirituali e surreali. Una per tutte: il Ritratto di Jennie, del 1948, di William Dieterle, con Jennifer Jones. La bella Jennifer (Jones) si innamora di un pittore (Joseph Cotten) e vuole aiutarlo nella sua carriera ed amarlo, nonostante sia morta da tempo e possa essere bambina e donna allo stesso tempo, gioiosa o in punto di morte, senza che però muti mai la disposizione del suo cuore.

Il ritratto di Jennie
E’ possibile girare un film senza montaggio, utilizzando un unico lungo piano sequenza? In Arca Russa Aleksandr Sokurov voleva ottenere l’effetto straniante di un lungo sogno, di una visione continuativa e quasi allucinatoria, e ci è riuscito. Nel Palazzo d’Inverno di San Pietroburgo, un tempo residenza degli Zar e oggi Museo dell’Ermitage, si aggira un personaggio del quale udiamo solo la voce, che attraversando le varie sale e i corridoi, si muove anche attraverso le epoche della storia russa: appaiono Pietro il Grande, l’imperatrice Caterina II, gli zar Nicola I e Nicola II, fino a giungere ai giorni nostri. Sono spettri, fantasmi? Di certo queste misteriose visioni, luminose e reali, creano un legame tra passato e presente, illustrano in un sol colpo tutta la storia russa, ma soprattutto mostrano come passato, presente e futuro non siano che circolari aspetti di un unico universo. Si scoprirà che il palazzo si trova sospeso in eterno sul mare.
La rivista del British Film Institute ha indicato Arca Russa fra i trenta film chiave del primo decennio del XXI secolo.

Arca Russa
Uno script tutt’altro che facile da portare sullo schermo, per la delicatezza dei temi trattati ma soprattutto per il modo originale e molto diretto col quale vengono affrontati. Scritto da Peter Morgan, Hereafter viene inizialmente acquistato dalla DreamWorks, ma in seguito ad alcuni dubbi del produttore esecutivo, Steven Spielberg, Morgan si occupò della sua riscrittura, cambiando anche il finale, per poi ripristinarlo in parte all’ultimo momento. Il film sarebbe stato realizzato solo a patto di avere Clint Eastwood alla regia.
Hereafter, di Eastwood, esce nel 2010 e non è una storia di fantasmi, bensì un racconto complesso che parla di un grande tabù, quello della vita dopo la morte, fatto anche di coincidenze e incontri. In modo non superstizioso né religioso, tantomeno orrorifico o fantastico, vengono narrate le vicende di un sensitivo che riesce a comunicare con i defunti (Matt Damon), di una giornalista (Cécile de France) che ha avuto una esperienza pre morte a causa uno tsunami che l’ha quasi uccisa e di un bambino di 12 anni al quale è morto in modo improvviso e traumatico il proprio gemello. Lo scopo del film è porre delle domande (infatti una delle protagoniste è una giornalista) ed aprire la mente alle molte possibilità di indagine e tentativi di comprensione che il destino ci offre. Hereafter ha vinto un Nastro d’Argento e un David di Donatello, ma non è considerato tra i film più popolari di Eastwood.

Hereafter
La morte, con ogni probabilità, non è la fine di tutto, ma solo uno dei cambiamenti che l’esistenza mette in atto per perpetuarsi. Non dobbiamo temerla, come non dovrebbero farci paura tutte le manifestazioni che provengono dall’aldilà. La notte di Halloween, o quella a cavallo fra il 1 e il 2 novembre, è con spirito sereno che ripenseremo a tutti coloro che abbiamo amato, perchè l’Arte e la vita, una ad imitazione dell’altra, ci suggeriscono che non esiste una fine, ma solo continuazione. E se qualche fantasma ritorna, accogliamolo senza timore nei nostri sogni, forse vuole raccontarci qualcosa, o solo dirci che ci vuole bene.
Lo stesso François Truffaut, indagatore dei segreti del cuore umano e delle sue contraddizioni osservate con indulgente tenerezza, attraverso la mediazione di Henry James (L’altare dei morti), nel malinconico La Camera Verde (1978) aveva analizzato la morte non in termini di morte, ma in termini di amore.

La Camera Verde
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