Disponibile su RaiPlay Nico, 1988, un film del 2017 scritto e diretto da Susanna Nicchiarelli, che racconta gli ultimi anni di vita della cantante ed ex-modella tedesca Christa Päffgen, meglio conosciuta come Nico. Il film ha vinto il Premio Orizzonti per il miglior film alla 74ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia e il David di Donatello 2018 per la miglior sceneggiatura originale. Con la direzione della fotografia di Crystel Fournier, le scenografie di Alessandro Vannucci (con Igor Gabriel), i costumi di Francesca e Roberta Vecchi e le musiche originali di Gatto Ciliegia contro il Grande Freddo, Nico, 1988 è interpretato da Trine Dyrholm, John Gordon Sinclair, Anamaria Marinca, Sandor Funtek, Thomas Trabacchi, Karina Fernandez, Cavlin Demba, Francesco Colella.
L’ex musa di Andy Warhol e cantante dei Velvet Underground Nico, ormai invecchiata e privata della sua bellezza, si reinventa come solista, avventurandosi nel suo ultimo tour in giro per l’Europa, cercando di trovare un senso alla propria vita e di riallacciare il rapporto con il figlio (mai riconosciuto dal padre Alain Delon), tormentato da istinti suicidi.
Susanna Nicchiarelli con Nico, 1988, vincitore del Premio Orizzonti alla 74ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia e di un David di Donatello per la miglior sceneggiatura originale, conferma la consistenza del suo talento, offrendo uno sguardo realistico, ma al tempo stesso pudico, degli ultimi anni di vita di Christa Päffgen, la celebre cantante, attrice e modella tedesca, un’artista poliedrica che attraversò come un fulmine gli anni Sessanta e Settanta, in ambito musicale, cinematografico e non solo. Celebri la sua partecipazione (breve) al gruppo dei The Velvet Underground, capitanati da Lou Reed, la collaborazione con Andy Warhol, nonché il suo piccolo ma indimenticabile ruolo ne La dolce di vita di Federico Fellini. Ma Nico, successivamente, proseguì con un’intensa attività musicale da solista, dando vita a un proprio originale stile, tanto che si meritò il soprannome di “Sacerdotessa delle Tenebre”, per le atmosfere gotiche e decadenti dei suoi brani, unite alla sua inconfondibile voce profonda e inquietante.
Una vita, la sua, tempestosa, contrassegnata anche da relazioni sentimentali con personaggi molto noti del mondo dello spettacolo, quali Alain Delon, dal quale ebbe un figlio mai riconosciuto dall’attore (circostanza che provocò non poco dolore alla cantante, che si vide togliere il bambino, paradossalmente affidato alle cure della nonna materna), con Brian Jones dei The Rolling Stones e addirittura con Jim Morrison dei The Doors, il quale la incoraggiò a cimentarsi nella scrittura di musica propria.
Questa breve introduzione era necessaria, laddove la scelta di Nicchiarelli di mettere in scena l’ultima parte della vita di Nico rivela la sana intenzione di voler evitare di scivolare nel prevedibile immaginario, di cui si è assai abusato al cinema, della rockstar maledetta, dando corpo, magari, a un film spettacolare, ammiccante, in una parola, furbo. No, la regista preferisce illuminare un momento meno appariscente, quello in cui l’artista proseguì, sì, la sua carriera, ma senza troppi riflettori puntati addosso, rivolgendosi a un pubblico ristretto, che non smise mai di seguirla, di apprezzarla. D’altronde è la stessa Nico a ripetere, durante il film, di volere ascoltatori selezionati, non essendo interessata alla celebrità. E poi, il lato oscuro, quella dipendenza dall’eroina che contrassegnò gran parte della vita della cantante, e di cui erano ben visibili gli effetti sulla sua persona; il dramma di un figlio che, a causa della sua inadeguatezza di madre, le venne strappato via, ma che non smise mai di cercare, riuscendo, infine, a ritrovare.
Trine Dyrholm, attrice e cantante danese, è di una bravura sconcertante, capace com’è di assumere le pose e le espressioni di Nico con notevole naturalezza, compiendo il miracolo di riportala, per il tempo della durata di un film, magicamente in vita. L’immobilità del suo volto, gli occhi spalancati e spiritati nonché la voce nasale restituiscono egregiamente il portamento e gli atteggiamenti di Christa Päffgen, senza mai scadere nello scimmiottamento o nella pantomima.
Nicchiarelli, dal canto suo, non si è fatta prendere la mano, producendosi in una regia sobria, contenuta, attenta a rimanere fedele alla verità dei fatti narrati. La scelta di utilizzare un formato cinematografico in disuso, quale l’1.33:1, probabilmente per entrate in maggiore sintonia con l’epoca dell’azione messa in scena, avvalora, senz’altro, questa ipotesi: scampare una gratuita e prevedibile spettacolarizzazione in favore di un serio approfondimento psicologico della protagonista. La durata, anch’essa non eccessiva (novanta minuti), si rivela funzionale a mantenere tutta la narrazione all’interno di sicuri binari. Nico, 1988 è un film dal respiro internazionale, che, pertanto, potrebbe costituire un’ottima occasione per far conoscere il buon cinema di Nicchiarelli anche al di fuori dei confini del nostro paese.
Lascia un commento